Il nuovo allenatore della Roma torna a Napoli, lì dove si ritrovò alle prese con la missione impossibile di sostituire Diego Armando nel cuore dei tifosi
Molte città si sono ritrovate improvvisamente senza re. Ma una sola si è vista strappare il suo Dio nel corso di un pomeriggio come tanti. È il 24 marzo del 1991 e Diego Armando Maradona segna su rigore contro la Sampdoria. È una gioia che si rivela effimera. Anche troppo. Perché appena quattro giorni più tardi i titoli neri dei giornali raccontano una storia dolorosa. Il dieci argentino è risultato positivo ai controlli antidoping. Nelle sue urine sono state trovate tracce di cocaina e dei suoi metaboliti. Diego viene squalificato. E dice addio a Napoli e al Napoli. Poco più tardi se ne va anche Luciano Moggi, che decide di tornare al Torino. Appena un anno dopo il suo secondo scudetto il castello di Ferlaino sta già venendo giù un pezzo dopo l’altro. A fine stagione gli azzurri chiudono ottavi.
C’è bisogno di una piccola rivoluzione.
Albertino Bigon saluta e riparte dal Lecce, in Serie B. Serve un allenatore capace di ridare entusiasmo, di piantare un seme. La scelta ricade su un romano di neanche quarant’anni. Si chiama Claudio Ranieri e sul suo curriculum c’è già appuntata un’impresa in miniatura. In due stagioni ha portato il Cagliari dalla C1 alla A. E poi lo ha addirittura salvato. I tifosi isolani lo considerano qualcosa a metà strada fra il condottiero e il santone, inneggiano al “Ranieri dei Miracoli”.
A Napoli, però, il primo anno da atei è complicato. Perché i fedeli si disperdono. La campagna abbonamenti chiude con appena 15mila tessere staccate. Meno della metà della stagione precedente. E i miliardi sacrificati sull’altare del calciomercato non hanno portato in dote nessun nuovo idolo pagano. Ranieri è stato subito chiaro. Ha preteso la conferma di Ferrara e di Crippa, ma soprattutto quella di Francini. Ferlaino lo aveva ceduto alla Lazio di Calleri per 8 miliardi. Solo che l’allenatore è andato su tutte le furie. Per lui il centrale di Massa è l’uomo perfetto per fare coppia con l’unico vero colpo estivo del Napoli: Laurent Blanc, un difensore che nei suoi otto anni al Montpellier aveva raccolto 35 presenze in Nazionale e aveva segnato qualcosa come 76 reti. Il resto del mercato è contorno: Pusceddu, Padovano, De Agostini e Sansonetti. In più Careca è un caso. Dice di non voler più tornare a Napoli. Così Ferlaino gli manda un ultimatum: o si presenta in ritiro oppure “perderà un sacco di soldi”.
Lo scetticismo è diffuso. Sivori dice chiaramente che il Napoli ha fatto un balzo indietro di vent’anni. “È una fortuna – commenta Ranieri – Sivori bocciò pure il mio Cagliari e avete visto”. Nessuno si aspetta niente. E questo diventa incredibilmente un vantaggio. L’idea di promuovere titolare il genio tascabile di Zola viene ripagata. Alla settima giornata un Napoli incredibilmente primo affronta la Juventus in quello che sembra già uno spareggio. “Eravamo primi in classifica anche dopo il debutto in campionato con l’Atalanta, ci siamo abituati”, scherza il tecnico di San Saba. La partita però finisce 0-1 per i bianconeri. Decide un gol di Luigi De Agostini. Il Napoli non riprenderà più la vetta. Chiude il girone d’andata terzo. Poi all’ultima giornata si ritrova quarto. È una posizione che vale la Coppa Uefa.
L’alba della seconda stagione di Ranieri sotto al Vesuvio assomiglia a una promessa. Arriva Fonseca. Arriva Thern. Arriva Policano. Arriva Carbone. Arriva Nela. Ma la speranza diventa presto utopia. A novembre la stagione è già un incubo. Il Napoli è stato eliminato dalla Uefa dal Psg. Ha perso 1-5 contro il Milan. È sedicesimo in classifica. Ranieri viene esonerato e si porta via un’epoca. I sogni di gloria sono finiti, gli echi maradoniani sono già impercettibili. Il Napoli si sgonfierà anno dopo anno fino a inabissarsi in Serie C. E quel quarto posto resterà il miglior risultato dei partenopei per 19 stagioni.