In settimana Putin s’è svegliato e ha rifatto le regole di risposta atomica. Sono due anni che ci dicono che l’apocalisse è abbastanza probabile, ma questo pare l’avviso più concreto, cartolina verde di raccomandata
Baratro e bar. Ho bisogno di uno sforzo di logica: il mio o sperabilmente di qualcuno meglio di me, capace di dirmi da che parte devo guardare. Se è la fine del mondo o la solita fuffa, il richio-irreparabile-fine-del-mondo che puntuale ogni vent’anni si presenta ai clienti del pianeta (noi). A guardarsi in casa, siamo un paese che al momento si preoccupa di uteri conto terzi, di Valditara, di Rita dalla Chiesa. E quindi non ci avviliamo: questo è un paese spensierato, è un paese che sta benissimo.
In settimana Putin s’è svegliato e ha rifatto le regole di risposta atomica. Sono due anni che ci dicono che l’apocalisse è abbastanza probabile, ma questo pare l’avviso più concreto, cartolina verde di raccomandata. Si leggeva sul giornale: se la Nato consentirà all’Ucraina di usare i suoi missili a lungo raggio per colpire il territorio russo, “non significherà altro che la sua partecipazione diretta alla guerra in Ucraina”. Ci aspettano “decisioni adeguate”, dice Putin. Speriamo di no.
Ho abbastanza anni per essermi già preoccupata di tutto. Solo che comincio a sentirmi un poco stanca di prendere il caffè alla mattina con la prima pagina di un’apocalisse imminente: “Distribuiti manuali in Norvegia e Svezia per come comportarsi in tempo di conflitto bellico, anche in caso di attacco nucleare”. Il minuto dopo per fortuna mi distraggo, sempre sul telefono, pagando una salatissima terza rata dell’Iva, chiodo scaccia chiodo.
Intanto, sempre nella stessa giornata: gol della bandiera a sinistra, si vince al centro Italia. Elly nel campo largo. Mi chiedo: a sinistra bisognerebbe essere felici pensando che tra cent’anni ce la faremo?
Ma torniamo alla smarginatura, baratro e bar. Cosa bisogna fare. Spallucce? Tra catastrofismo e indifferenza deve farsi largo un sentimento nuovo? Se sì, quale? Diteci come ci dobbiamo sentire, e il popolo procederà a sentircisi. Va bene il pessimismo della ragione, ma per l’ottimismo della volontà qualcuno ti deve dare istruzioni. Per ogni fare serve un “cosa”, o è tutto inutile.
Per restare lucidi e prosaici si potrebbe dire che l’idea “il mondo sta finendo” è un vecchio cliché ricorsivo. Altro vecchio cliché è che ogni epoca avrebbe visto il suo momento migliore mentre intorno si pensava che fosse l’ultimo. Ma non consola, è vaghezza retorica, che ce ne facciamo. Niente nella vita ti fa il favore di dare risposte nette, meglio e peggio convivono, l’incertezza ce l’hai e te la tieni. Alla fine, la vera domanda non è se ci aspetta il meglio o il peggio, ma cosa faremo durante. Il pendolo umano non conosce più noie e dolori, siamo tra la paura e il narcisismo. Posizione inedita, che non sappiamo bene come sistemare.
Per parte mia, non posso gestire contemporaneamente l’informazione di Putin con le nuove regole atomiche (me ne importa moltissimo) e dell’utero pro alio (non me ne importa niente) nello stesso momento, se non considerando che l’assurdo si è fatto il protagonista della nostra epoca. Siamo a un attimo dai vaccini per il cancro, abbiamo la carne in laboratorio, Bill Gates-risolvo-i-problemi sta investendo i suoi migliori soldi in soluzioni rapide alla crisi climatica. Improvvisare quando tutto sembra perduto è la risposta costante dell’umanità: è una specialità conclamata, per questo siamo sopravvissuti. Non ce la siamo guadagnata la fiducia nel futuro?
Insomma siam pronti alla morte con l’impressione, però, che non succederà proprio niente. Nel frattempo occorre accomodarsi (scomodi) in questo duale: da un lato, il mondo in bilico, con il linguaggio della catastrofe che diventa prassi di lettura quotidiana. Dall’altro, surrealtà senza peso, una normalità-barzelletta che potrebbe essere solo un’illusione. A guardare dentro la contraddizione col microscopio, c’è una nervatura molto umana, nello stato d’animo di questi mesi. Il catastrofismo e l’ottimismo sono entrambi istinti di sopravvivenza. Non è richiesto schierarsi, non è necessario scegliere da che parte stare. Da tutt’e due. Spe et metu. Che tradotto da un latino inventato proprio adesso per l’occasione viene così: si sta come d’autunno sugli alberi le foglie, e certe foglie son capaci di stare aggrappate fino a primavera.