Von der Leyen non è spaventata da una maggioranza debole per la nuova Commissione

Gli uomini forti della presidente non sono i vicepresidenti, ma il suo capo di gabinetto, Bjoern Seibert, e due commissari: il lettone Valdis Dombrovskis all’Economia e lo slovacco Maroš Šefcovic al Commercio

Il 27 novembre Ursula von der Leyen rischia di trovarsi con molti voti in meno dei 401 con cui il Parlamento europeo l’aveva eletta a luglio per un secondo mandato come presidente della Commissione. La maggioranza pro europea ha iniziato a disfarsi ieri, dopo l’accordo raggiunto tra il Partito popolare europeo, i socialisti e i liberali di Renew per confermare tutti i candidati a far parte del collegio dei commissari. Il gruppo dei Verdi e i socialisti francesi hanno dato avvio all’emorragia a causa della conferma di Raffaele Fitto come vicepresidente esecutivo. Anche tra i liberali e nel Ppe ci saranno defezioni, anche se per ragioni diverse. Per von der Leyen non è un dramma. Al contrario. Più delegittimati saranno i suoi vicepresidenti, più forte diventa la presidente. Gli attacchi a Teresa Ribera, la numero due della nuova Commissione, disinnescano la potenziale minaccia che la socialista spagnola costituiva per il monopolio del potere di von der Leyen. I veri uomini forti della Commissione non sono i vicepresidenti, ma il capo di gabinetto della presidente e due commissari fidati.


“Non potremo sostenere un collegio la cui squadra dirigente comprende un vicepresidente di estrema destra”, hanno detto i deputati del Partito socialista francese in un comunicato dopo la conferma di Fitto. Altri seguiranno nella famiglia socialista europea. Tra i liberali del gruppo Renew si annunciano astensioni per la stessa ragione: il vicepresidente italiano è il rappresentante di un partito considerato da molti nell’Ue come di estrema destra. Un posto da commissario semplice sarebbe accettabile, ma non uno al vertice dell’esecutivo. Anche nel Ppe ci saranno defezioni. Il Partido popular spagnolo potrebbe non votare l’investitura della Commissione per la presenza della socialista Teresa Ribera. Gli ungheresi di Péter Magyar, principale forza di opposizione a Viktor Orbán, difficilmente daranno il loro “sì” a un collegio che include il suo commissario Olivér Várhelyi.


Per l’investitura della nuova Commissione a Ursula von der Leyen basterà la maggioranza semplice del Parlamento europeo il 27 novembre. Non raggiungere i 361 voti della maggioranza assoluta sarebbe un brutto segnale in una legislatura che si annuncia instabile. La scelta di Manfred Weber di andare avanti con maggioranze variabili – alleandosi con l’estrema destra su alcuni temi come l’immigrazione o il Green deal – annuncia cinque anni di incertezze. La polarizzazione imposta dal presidente del Ppe renderà più difficile trovare compromessi tra i gruppi centristi.



Eppure, alla luce del suo modo di governare la Commissione, per von der Leyen non è necessariamente una cattiva notizia. Nemmeno un brutto risultato nel voto di investitura della nuova Commissione il 27 novembre le rovinerà la vita. “Una maggioranza debole per l’investitura del collegio andrà bene a von der Leyen perché le permette di affermare la sua autorità sulla sua squadra”, spiega al Foglio un funzionario dell’Ue. Il grande caos degli ultimi dieci giorni su Fitto e Ribera ha danneggiato i vicepresidenti. L’italiano, che ha la responsabilità della Politica di coesione, è rigettato da socialisti e liberali, che lo hanno accettato solo per senso di responsabilità. La socialista spagnola, che ha il portafoglio del Green deal e quello della Concorrenza, rimarrà il bersaglio di continui attacchi da parte del Ppe. Il francese Stéphane Séjourné (vicepresidente alla Competitività) e la finlandese Henna Virkkunen (vicepresidente al Digitale) non sono finiti nel vortice perché deboli.



Von der Leyen lo ha già dimostrato nel suo primo mandato. Le decisioni che contano saranno prese da lei. Fitto ha già iniziato a scoprirlo a sue spese con una serie di fughe di notizie sulla stampa. Nel giorno della sua audizione al Parlamento europeo, il Financial Times ha svelato che la prossima Commissione potrebbe dirottare i fondi della politica di coesione non utilizzati dalle regioni verso gli investimenti per la difesa. Di fronte alle critiche dei deputati, Fitto ha definito le rivelazioni come “senza fondamento”. Questa settimana Politico.eu ha svelato che von der Leyen vuole prendere il controllo diretto della Direzione generale “Riforme” e dei suoi 200 funzionari. L’obiettivo è mettere direttamente sotto l’ala della squadra della presidente la gestione dei Pnrr. Inoltre, la gestione delle nuove modalità per sborsare i fondi dell’Ue (compresi quelli della coesione) passerebbe nelle mani di von der Leyen. Per incentivare riforme e investimenti negli stati membri, la presidente vuole che tutti i fondi dell’Ue siano versati con il sistema “a contratto” dei Pnrr.


Il piano di von der Leyen per i prossimi cinque anni è di accentrare tutti i poteri su di sé e la sua squadra ristretta. Molto più dei vicepresidenti conteranno il suo capo di gabinetto (il tedesco Bjoern Seibert) e due commissari a cui ha affidato competenze sensibili mettendoli alle sue dirette dipendenze (il lettone Valdis Dombrovskis all’Economia e lo slovacco Maroš Šefcovic al Commercio). Per come è costruita la nuova squadra – con una struttura piramidale e competenze che si sovrappongono, in cui le decisioni vengono centralizzate nel gabinetto della presidente – i vicepresidenti appaiono meno rilevanti.

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