L’Italia ha una posizione di “non riconoscimento” del dittatore Maduro, che però non vuol dire ancora “riconoscimento” dell’oppositore democratico. La premier ha detto in Argentina che bisogna essere “più chiari”: lo faccia
Nel bilaterale con il presidente dell’Argentina Javier Milei, Giorgia Meloni ha affrontato la crisi regionale più grave dell’America latina: il Venezuela. “Non riconosciamo la proclamata vittoria di Maduro a seguito di elezioni ben poco trasparenti – ha detto Meloni – È nostro dovere alzare la voce e ringrazio il presidente Milei per averlo fatto”. La premier ha poi aggiunto che questa posizione va espressa “con toni più chiari”: “Insieme all’Ue lavoriamo per una transizione democratica e pacifica del Venezuela” in modo che venga rispettata “la preferenza espressa dal popolo venezuelano per il presidente eletto González Urrutia”.
Le parole della presidente del Consiglio sono state accolte con entusiasmo come se fossero un salto di qualità diplomatico: “Giorgia Meloni riconosce Edmundo González come presidente eletto”, titolano i giornali sudamericani. Ma non è questa la realtà. Meloni ha detto a parole molto di più di quanto abbia fatto nella sostanza. Perché al momento la posizione diplomatica dell’Italia è di “non riconoscimento” della vittoria di Maduro, che però non vuol dire “riconoscimento della vittoria di González”. Su questo la Farnesina e Palazzo Chigi sono ancora cauti, perché la situazione in Venezuela è molto complicata.
Il dittatore Nicolás Maduro, dopo la più clamorosa frode elettorale della storia recente, si è dichiarato vincitore, mentre il candidato dell’opposizione Edmundo González – che ha vinto realmente le elezioni, come dimostrano vari osservatori internazionali indipendenti e i verbali dei seggi elettorali – è stato costretto all’esilio dopo essere stato incriminato. A sua volta, la vera leader politica dell’opposizione democratica, María Corina Machado, a cui il regime ha proibito di candidarsi, vive in semi clandestinità in Venezuela e sotto la costante minaccia di un arresto. Nel post voto l’autocrate socialista ha violato i diritti umani e arrestato migliaia di dissidenti.
In questo contesto, la posizione dell’Italia, come pure dell’Unione europea, è prudente. L’Unione e gli stati membri non si vogliono spingere oltre, soprattutto a causa del precedente riconoscimento come presidente ad interim del Venezuela, al posto di Maduro, dell’allora presidente del Parlamento Juan Guaidó. Quell’operazione politico-diplomatica non ha portato a nulla, tanto che Maduro è ancora al suo posto. Pertanto, stavolta, si vogliono evitare forzature per lasciare uno spiraglio aperto al dialogo con il regime fino al 10 gennaio, giorno dell’insediamento del presidente eletto, per preparare una transizione pacifica e ordinata.
Ma più passa il tempo – le elezioni si sono tenute il 28 luglio – e più è evidente che si tratta di un’illusione. Da diversi anni sia gli Stati Uniti sia l’Unione europea hanno costruito le basi per un processo democratico, togliendo le sanzioni al regime in cambio di elezioni regolari. Ma l’accordo è stato evidentemente tradito. Con il passare del tempo, molti paesi stanno facendo il passo ulteriore di riconoscere González come presidente eletto. Non solo l’Argentina di Milei, che ha definito il governo di Caracas “la dittatura omicida del criminale Maduro”. Ma anche altri paesi sudamericani, come Perù, Ecuador e Uruguay. E, soprattutto, gli Stati Uniti che evidentemente non vedono più margini di dialogo: nei giorni scorsi il Segretario di stato Antony Blinken, quindi ancora Amministrazione Biden, ha riconosciuto González come “presidente eletto”.
Lo stesso hanno fatto i Parlamenti di Colombia e Spagna, ribaltando il parere contrario dei rispettivi governi socialisti Petro e Sánchez. Ma, soprattutto, lo ha già fatto il Parlamento europeo che, con voto a maggioranza di centrodestra, ha riconosciuto González come legittimo presidente del Venezuela. Inoltre, un mese fa il Parlamento europeo ha assegnato ai leader dell’opposizione democratica, Machado e González, il premio Sacharov per la libertà di pensiero.
Nelle scorse settimane, durante la visita in Italia dell’opposizione venezuelana, la commissione Esteri della Camera stava lavorando a una risoluzione sul tema che però si è arenata. L’obiettivo era una mozione unitaria, partendo da una formula vaga di possibilità di proporre il riconoscimento in futuro di González. Eppure, anche su un testo così annacquato e poco impegnativo, ci sono resistenze da parte del Pd, che in Europa ha votato contro la mozione pro González.
Ma non è più tempo di posizioni ambigue. Meloni a Buenos Aires ha detto che ora bisogna essere “più chiari”, anche se in Sud America hanno equivocato, intendendo un passo diplomatico che però non è stato ancora compiuto. Una risoluzione del Parlamento italiano di riconoscimento di Edmundo González come presidente eletto può dare alla premier un mandato per portare la questione a Bruxelles e spingere tutta l’Unione europea a prendere una posizione chiara. Non si capisce perché il centrodestra non abbia il coraggio di votare ciò che ha già votato al Parlamento europeo.