Il pizzo pagato agli houthi finanzia l’arsenale dei terroristi

Le missioni militari al largo dello Yemen falliscono e alle compagnie private, per navigare in sicurezza, non resta che versare tangenti per 2 miliardi di dollari. Le accuse dell’Onu

Secondo le Nazioni Unite, gli houthi hanno creato un sistema di tangenti imposte alle compagnie di navigazione che intendono attraversare il Mar Rosso senza essere attaccate. La rivelazione compare nell’ultimo report presentato il mese scorso al Consiglio di sicurezza dell’Onu ed elaborato dal gruppo di esperti che indaga sulla situazione in Yemen. In cambio dell’assicurazione di un libero passaggio attraverso lo Stretto di Bab el Mandab, la cifra versata a società riconducibili al movimento di Ansar Allah sarebbe enorme: 2 miliardi di dollari all’anno, secondo testimoni sentiti dagli investigatori dell’Onu, circa 180 milioni di dollari al mese, una cifra superiore a qualsiasi precedente legato ad atti di pirateria. Di più, si teme che con questi soldi il gruppo terroristico possa finanziare l’arsenale missilistico e di droni usato per bloccare la navigazione nel Mar Rosso. “Le fonti hanno informato il gruppo di esperti che queste agenzie di trasporto si coordinano con una compagnia affiliata a un leader di rango molto elevato degli houthi e che il denaro è depositato su vari conti in diverse giurisdizioni”, dice il rapporto. Il sistema usato per riciclare il denaro sarebbe quello hawala, molto diffuso nel mondo islamico e che permette di trasferire liquidità in modo immediato e senza troppi cavilli burocratici.

Da quando gli houthi hanno preso di mira le navi cargo nel Mar Rosso come ritorsione per la guerra a Gaza, le compagnie private hanno chiesto alla comunità internazionale di garantire la sicurezza della navigazione. Il risultato è stato l’invio di due nuove missioni militari, la Prosperity Guardian a guida americana e Aspides dell’Unione europea. Nessuna delle due è riuscita però a limitare la minaccia degli houthi. A un anno dall’inizio degli attacchi, il bilancio parla di quasi 500 attacchi con droni, due navi cargo affondate, due sequestrate, 43 danneggiate e quattro morti fra i membri degli equipaggi. I danni per il settore dello shipping sono enormi. Secondo Port Watch, un database del Fondo monetario internazionale e dell’Università di Oxford, i transiti attraverso il Canale di Suez, a nord del Mar Rosso, sono stati 29 a settembre, contro gli 80 di un anno prima. Il volume delle merci è precipitato nello stesso periodo da 4,89 milioni di tonnellate a 1,36 milioni. Una minaccia che ha costretto le compagnie a circumnavigare l’Africa, aggiungendo però costi ulteriori e un allungamento nei tempi di consegna.

L’International Chamber of Shipping, che rappresenta alcune tra le principali compagnie di navigazione al mondo, non nega il versamento di tangenti agli houthi ma, spiega al Foglio un portavoce, la somma di denaro ipotizzata è a suo avviso esagerata. “E’ sorprendente che questa stima sia stata inclusa nel rapporto. Secondo noi è improbabile e non avrebbe alcun senso in termini commerciali, per una compagnia che intenda transitare per quell’area”.

Sebbene gli esperti dell’Onu abbiano specificato di non avere potuto verificare direttamente l’informazione fornita dalle loro fonti, secondo Salvatore Mercogliano, professore di Storia alla Campbell University del Carolina del Nord e all’Accademia mercantile degli Stati Uniti, ci sono validi motivi per ritenerla attendibile. “Ci sono delle incongruenze nei dati di navigazione di alcuni cargo – spiega al Foglio – alcuni dei quali spengono il sistema satellitare AIS prima di entrare nello Stretto di Bab al Mandab per poi riaccenderlo dopo un tempo stranamente più lungo di quello che sarebbe necessario a doppiarlo. Una circostanza che lascerebbe ipotizzare un rendez-vous da qualche parte”.

Altri esperti sono invece più scettici, soprattutto per l’ammontare totale del giro di denaro. Sempre secondo le Nazioni Unite, per esempio, i riscatti pagati dalle compagnie private per liberare navi ed equipaggi dai pirati somali, in sette anni, ammontarono a una cifra di poco superiore ai 400 milioni di dollari, meno di un quarto rispetto a quanto starebbero estorcendo oggi gli houthi. Stephen Askins, l’avvocato di Londra che durante la crisi della pirateria somala si occupava del pagamento dei riscatti per conto delle compagnie, ha detto che se una somma del genere fosse stata versata agli houthi il suo studio, Tatham & Co., ne sarebbe venuto a conoscenza: “Se si fa il conto delle compagnie per le quali potrebbe essere vantaggioso pagare somme così alte per attraversare il Mar Rosso, ne rimarrebbero ben poche”, ha spiegato all’emittente tedesca Deutsche Welle. Ma lunedì scorso, proprio in Germania, le compagnie di shipping hanno lanciato un nuovo allarme alle autorità, perché molte di esse hanno ricevuto mail minatorie inviate direttamente dagli houthi. Le intimidazioni hanno preso di mira le navi che avevano fatto scalo in porti israeliani, ma anche l’Associazione degli armatori tedeschi che ha sede ad Amburgo. In Italia, Assarmatori ha fatto sapere al Foglio di non essere a conoscenza di minacce simili, ma non ha escluso casi di messaggi intimidatori indirizzati a singole compagnie.

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  • Luca Gambardella
  • Sono nato a Latina nel 1985. Sangue siciliano. Per dimenticare Littoria sono fuggito a Venezia per giocare a fare il marinaio alla scuola militare “Morosini”. Laurea in Scienze internazionali e diplomatiche a Gorizia. Ho vissuto a Damasco per studiare arabo. Nel 2012 sono andato in Egitto e ho iniziato a scrivere di Medio Oriente e immigrazione come freelance. Dal 2014 lavoro al Foglio.

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