Argini contro l’ambientalismo ideologico

Ovunque ci si giri, in Europa, sia per ragioni strumentali sia per ragioni concrete, è la transizione a dividere la politica, a preoccupare i governi. La prossima sfida europea dei riformisti è non regalare ai populisti una battaglia che populista non è

In questa storia c’entra più o meno tutto. C’entrano i dolori della Commissione europea, c’entrano gli equilibri del nuovo Parlamento europeo, c’entra il destino del governo tedesco, c’entrano le crisi industriali europee, c’entrano le politiche comunitarie sui dazi, c’entra la concorrenza americana, c’entrano le tensioni in Francia, c’entrano le proteste in Inghilterra. Fermatevi un attimo e rifletteteci un istante. C’è un filo invisibile che lega buona parte delle tensioni politiche che sta registrando l’Europa da qualche mese a questa parte. Un filo che ha poco a che fare con i venti trumpiani, con le conseguenze delle guerre, con le tensioni geopolitiche e che riguarda quello che oggi è il vero spartiacque della politica europea: la velocità della transizione ecologica. Ovunque ci si giri, in Europa, sia per ragioni strumentali sia per ragioni concrete, è la transizione a dividere la politica, a preoccupare i governi, a mettere le maggioranze a tu per tu con le proteste degli elettori.

In Inghilterra, da due giorni, gli agricoltori protestano contro la decisione del governo di aumentare la tassa di successione per gli agricoltori più benestanti, quelli che producendo di più inquinano di più, e anche in Francia, da giorni, gli agricoltori sono in strada per esprimere il proprio dissenso rispetto alla possibilità che venga approvato un accordo commerciale con il Sud America, mossi dall’idea che una maggiore apertura dei mercati possa essere minacciosa per i produttori europei appesantiti da normative ambientali considerate troppo gravose. E in fondo, anche i ritardi registrati per la nascita della Commissione europea sono stati legati, prima dell’accordo di ieri, alle divisioni dei partiti sui temi ambientali (la socialista Teresa Ribera, responsabile dell’Ambiente nel governo Sánchez e prossimo commissario all’Ambiente, era stata trasformata in un nemico da parte dei popolari spagnoli per via delle sue presunte e non dimostrate responsabilità nella mancata prevenzione del disastro di Valencia).

C’è l’ambiente – e le politiche Net Zero, zero emissioni, tarate sul 2050 – al centro delle divisioni europee e c’è l’ambiente anche al centro delle maggioranze variabili che si stanno manifestando da settimane nel nuovo Parlamento (ed è proprio sull’ambiente che la scorsa settimana si è ammaccata la maggioranza Ursula sulla legge sulla così detta deforestazione importante, quando la destra moderata ha votato insieme con la destra più estremista). Il caso forse politicamente più significativo dei cortocircuiti attorno ai temi di carattere ambientale è stato però registrato pochi giorni fa in Germania nel momento in cui il cancelliere Olaf Scholz ha scelto di far saltare il governo dopo aver letto un duro atto d’accusa del suo ex ministro delle Finanze, Christian Lindner, contro le politiche energetiche del suo paese. Tesi di Lindner: le politiche di transizione energetiche della Germania non sono economicamente sostenibili, hanno prodotto disastri nel mondo dell’industria, e quelle politiche dovrebbero essere sostituite da un programma diverso, fatto di tasse più basse, regolamentazione più snella e deroghe alle normative ambientali europee per alcuni settori specifici che stanno soffrendo enormemente i costi delle politiche draconiane sull’ambiente. Tesi di fondo di Lindner: la Germania si sta deindustrializzando perché i produttori non riescono a far fronte ai prezzi alle stelle dell’energia e in una stagione in cui vi sono paesi, come l’America, che hanno margini superiori a quelli europei per tagliare i costi energetici nazionali, non si può evitare di guardare l’elefante nella stanza, non si può non ammettere che l’eccessiva accelerazione europea, senza adeguate misure di supporto, ha costi che rischiano di essere insopportabili e non si può non capire che chiudere gli occhi di fronte alla nuova emergenza europea significa regalare ai populisti una battaglia che populista non è: trovare nuovi argini contro gli eccessi dell’ambientalismo ideologico. In bocca al lupo a Ursula & Co.

  • Claudio Cerasa
    Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e “Ho visto l’uomo nero”, con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.

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