Violenze, abusi e omertà degli agenti nel carcere di Trapani. Suicida l’81esimo detenuto dell’anno

È andata che un numero notevole di agenti di polizia penitenziaria sfogava i propri istinti su detenuti “fragili, per le loro condizioni psicofisiche, psichiatriche, persone vulnerabili”. Mentre un numero ancora più notevole di loro colleghi taceva. Certe nostre prigioni come gulag

Si sceglievano le isole belle per metterci le tristi prigioni. Il mare li isolava, appunto, e quanto a loro, il mare non dovevano nemmeno vederlo, e figurarsi Maria, tranne che sognare lei e il mare nella canzone. Trapani è anche lei una città di due mari, e il suo carcere ne è circondato. I prigionieri non lo vedono, ma l’amministrazione li aveva risarciti con un “Reparto blu”. Non esiste più, era già una sentina puzzolente e senz’aria, ora chiusa, ragioni “igienico-sanitarie”. Prima, per due o tre anni, dal 2021 al 2023, fu il modesto gulag delle imprese di carcerieri, agenti di polizia penitenziaria, sfogate su “italiani e stranieri, quasi tutti detenuti fragili, per le loro condizioni psicofisiche, psichiatriche, persone vulnerabili” (il procuratore capo di Trapani, Gabriele Paci). Andò così, che un numero notevole di agenti, un branco, sfogava i propri istinti, diciamo così, su quei vulnerabili, mentre un numero ancora più notevole di loro colleghi non prendeva parte, e forse provava anche schifo, ma “non sono intervenuti e non li hanno neanche denunciati” – com’era loro dovere, ma chi vuole mettersi nei guai? Attenti allo svolgimento: le violenze, le torture e le umiliazioni – “gettavano addosso ai detenuti denudati acqua e urina”… – duravano impunite: ciascuno degli autori era ostaggio dell’omertà degli altri. Non erano episodi, a quanto pare, era l’abitudine. Mai sottovalutare la forza dell’abitudine.

Ma in pochi luoghi le voci corrono come nelle segrete di galera, e magistrati e investigatori (a loro volta uomini e donne della Polizia penitenziaria) messi al corrente dalle voci e dalle denunce arrischiate dei detenuti, riuscirono in un lavoro difficile da credere: installare telecamere nei locali del “Reparto blu” custodendone il segreto. Così quegli ignari continuarono a gavazzare, e gli inquirenti vennero a capo di una documentazione prolungata e soverchiante. (Chissà quanto materiale analogo giaceva nei telefonini degli autori delle soperchierie, chi commette una malefatta non rinuncia a rivedersi e mostrarla alle ammiratrici, vedi Abu Ghraib).

Le relazioni di servizio venivano regolarmente falsificate. Ancora il procuratore Paci, che nella conferenza aveva accanto e alle spalle ufficiali e agenti penitenziari, ha detto che “in questa sorta di girone dantesco sembra di leggere parti dei ‘Miserabili’ di Victor Hugo”. Deve conservare una fiducia nel suo prossimo se lo fa ancora capace di leggere “I miserabili” di Victor Hugo e capirlo e ricordarlo, e stare dalla parte di Valjean: provate a immaginare quel librone nelle mani di un miserabile vero, uno che “gioisce intimamente” di una carretta nuova nella quale il prigioniero, chiunque sia, non riesca a respirare. “Un quarto o un quinto gli agenti coinvolti”, continua il procuratore, 55 persone: 11 agli arresti (domiciliari, almeno ai detenuti sarà risparmiata la prosecuzione della compagnia), 46 indagati – “il gip, Giancarlo Caruso, non ha accolto tutte le richieste”.

Sapete, l’amarezza della vita ha un solo lenimento, anche nei momenti più infami, e questo è di quei momenti: la bizzarria o l’illuminazione delle coincidenze. Ieri, quando nel carcere di Trapani (intitolato a Pietro Cerulli, un agente penitenziario assassinato a Palermo dalla mafia) si riferiva l’indagine, cadeva il trentacinquesimo anniversario della morte di Leonardo Sciascia. Che c’entra? – direte. Niente, non importa. Non datevi pensiero. Ieri si è suicidato in galera l’81esimo detenuto dell’anno – un ventottenne, Ben Mahmood Mussa, tunisino, pizzaiolo, “disturbi mentali”, impiccato, a Marassi. Altri 131 sono morti “per altre cause”. Sette agenti penitenziari si sono ammazzati. E mancano ancora 41 giorni all’anno nuovo, in cui sarà festa tutto l’anno.

Nell’aprile del 2023 una vasta indagine, come si dice, “Operazione Alcatraz”…, aveva scoperchiato, come si dice, un largo e protratto smercio di telefonini e droga (e prestazioni sessuali gratuite agli agenti coinvolti) oltre al pestaggio di un detenuto, nel solito carcere di Trapani, e aveva coinvolto quattro agenti penitenziari.

Il capo della procura ha voluto sottolineare che le violenze ora denunciate erano “gratuite e inconcepibili”. Un sindacalista degli agenti le ha dichiarate di fatto concepibili concepibilissime: “Sono ormai decine le indagini a carico di appartenenti al Corpo di polizia penitenziaria e centinaia gli agenti indagati, sospesi dal servizio e talvolta condannati. Ovviamente, chi sbaglia deve essere individuato e perseguito, ma se a farlo, anche solo in via presuntiva, sono centinaia, diventa evidente la patogenicità del sistema che non solo non protegge, ma evidentemente favorisce e addirittura induce all’errore. Non si può parlare di mele marce, ma è la cesta marcia che fa imputridire tutto ciò che contiene”. Ci sono 15 mila detenuti in più, e 18 mila agenti in meno: che oltraggio alle legge della domanda e dell’offerta. Argomentazione attenuante, ma non priva di una seduzione. E’ l’occasione che fa l’uomo ladro. E’ la galera che fa l’agente penitenziario torturatore e il detenuto torturato (iniqua divisione del lavoro): questa galera poi! Solo che l’argomento somiglia a quelli ripugnanti che in nome di una condizione collettiva, e magari di ordini (o vaniloqui) superiori, pretendono di far svanire la responsabilità personale. Di ciascuno, guardia o ladro.

“Il costo medio di ogni singolo detenuto allo Stato è di 157 euro al giorno”. Dei quali, 20 euro vanno alle spese del detenuto.

“E poi fu solo in mezzo al blu”.

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