La premier italiana può giocare di sponda con il presidente argentino per contenere il protezionismo trumpiano, ma dovrebbe rinunciare al proprio sovranismo riaprendo l’accordo Europa-Mercosur
Oggi Giorgia Meloni sarà in visita ufficiale a Buenos Aires, ricevuta alla Casa Rosada dal presidente argentino Javier Milei. I due sono reduci dal G20 di Rio de Janeiro in Brasile e si erano già incontrati una prima volta a Roma, lo scorso febbraio, quando il presidente argentino era venuto in tour in Europa. Meloni e Milei sono visti come i nuovi leader della destra globale, che ha il suo perno principale in Donald Trump negli Stati Uniti.
Sono tre leader accomunati da diverse battaglie contro la sinistra globale, ma anche molto diversi tra loro. Per tradizione culturale, politica e nazionale. Oltre che per il diverso contesto geografico ed economico. Ed è proprio su questo terreno, nonostante le enormi differenze tra Italia e Argentina, che Meloni potrebbe da un lato trarre qualche lezione e dall’altro tentare di evitare che la frammentazione commerciale rompa i legami tra i blocchi continentali europei e americani. Ma la premier italiana può trarre anche qualche lezione per la politica economica.
Tra Meloni e Milei c’è certamente una convergenza profonda sulla politica estera. Il presidente libertario ha impresso una svolta al posizionamento internazionale dell’Argentina, allontanando il paese dall’asse Russia-Cina-Iran, con cui il peronismo di Cristina Kirchner aveva stretto ottimi legami. Tra i primi atti del presidente argentino ci sono stati l’abbandono del progetto dei Brics e lo spostamento nel campo opposto. L’Argentina è il principale alleato degli Stati Uniti in Sud America (già con l’Amministrazione Biden) e, più in generale, dell’intero occidente: ora Buenos Aires sta con l’Ucraina e contro la Russia, con Israele e contro Hamas e l’Iran (autore, attraverso Hezbollah, di un attentato al centro ebraico di Buenos Aires nel 1994 che fece 85 morti e 300 feriti).
Dal punto di vista strategico, l’Argentina può svolgere un ruolo importante per l’occidente per la sua ricchezza di materie prime critiche e terre rare, risorse naturali fondamentali in uno scenario in cui il commercio globale si divide in blocchi. Per giunta, il paese, che sta attraversando una profonda ristrutturazione economica, ha sete di investimenti esteri. All’occidente servono fornitori politicamente affidabili, all’Argentina dollari per rilanciare la crescita. Che se non arrivano dalle democrazie, arrivano da altri regimi come la Cina. Non a caso, nonostante la sua avversione esplicita per “i comunisti”, Milei ha incontrato in Brasile Xi Jinping ribadendo i buoni rapporti con Pechino.
Giorgia Meloni sicuramente discuterà con Milei dei rapporti bilaterali Italia-Argentina, cercando di rafforzare la cooperazione in settori come l’energia, la meccanica e l’industria, nei quali operano diverse imprese italiane. Ma l’Italia potrebbe svolgere un ruolo di mediazione più ampio, per tenere uniti l’Europa, il Nord America e il Sud America, che rischiano di allontanarsi a causa dell’ondata protezionistica che potrebbe partire dall’Amministrazione Trump. L’obiettivo strategico, insomma, dovrebbe essere, anche in uno scenario di aspro confronto tra Stati Uniti e Cina, di evitare che la frammentazione del commercio internazionale interessi anche il blocco occidentale al suo interno.
È il messaggio che ha lanciato, nei giorni scorsi, il governatore della Banca d’Italia Fabio Panetta quando ha invitato l’Europa a “rivitalizzare le discussioni sugli accordi commerciali e di investimento”. Nel caso specifico, vuol dire riaprire il trade agreement tra Unione europea e Mercosur (il mercato comune sudamericano), che è bloccato per il riflusso protezionistico europeo. Nei giorni scorsi, Emmanuel Macron ha detto a Milei che la Francia non firmerà l’accordo, per via delle opposizioni degli agricoltori (oltre che degli ambientalisti). Stessa posizione dell’Italia, come ha ribadito ieri il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida, in sintonia con la linea coldirettista.
Ma l’accordo Europa-Mercosur ha un valore che trascende le semplici ricadute economiche, peraltro positive per l’economia europea e italiana nel complesso, perché ha un’importante valenza geopolitica in un’ottica di potenziale divisione del mondo in blocchi economici amici. Tra l’altro, proprio nei giorni scorsi, Milei ha avviato le trattative per un accordo di libero scambio con gli Stati Uniti, dato il suo ottimo rapporto con Trump. Riaprire le discussioni sul trattato con il Mercosur, giocando di sponda con Milei, potrebbe essere per Meloni un modo per attenuare gli annunciati dazi di Trump contro l’Europa. Ma vuol dire rinunciare al proprio protezionismo, sia italiano sia europeo.
Dalla visita a Buenos Aires, Meloni può trarre ispirazione anche per la politica economica interna. La situazione dei due paesi è molto diversa. Milei ha preso un paese in recessione, sull’orlo del default e con l’inflazione più alta al mondo. In brevissimo tempo ha fatto un durissimo aggiustamento fiscale, portando il bilancio in pareggio, a colpi di tagli alla spesa pubblica (-30%). L’economia, ovviamente, ne ha risentito ma i risultati sono stati sorprendenti in senso positivo: l’inflazione è crollata, il rischio-paese è diminuito notevolmente, la disoccupazione non è aumentata e l’economia, dopo un’iniziale peggioramento, è già in ripresa. La povertà, dopo un’impennata sopra il 50%, da diversi mesi è in calo per il recupero dei salari che battono l’inflazione.
Cos’ha in comune l’Italia? Nulla di così drammatico, ma c’è un’analogia. Dovendo ridurre il deficit per i prossimi anni, neppure il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti potrà usare la leva fiscale. Per la crescita economica, l’amministrazione Milei ha puntato quindi tutto sull’offerta: privatizzazioni, deregulation, liberalizzazioni, investimenti esteri. Il lavoro più interessante, oltre a quello macro del ministro dell’Economia Luis Caputo, è a livello micro del ministro della Deregolamentazione Federico Sturzenegger che ha usato la motosega contro la burocrazia e i privilegi delle varie “caste”. Un approccio molto diverso da quello ancora troppo corporativo del governo Meloni, che si era presentata alle Camere dicendo “il nostro motto sarà ‘non disturbare chi vuole fare’”, ma poi ha spesso agito in difesa di categorie e corporazioni. Se non proprio la motosega, potrebbe farsi insegnare a usare il decespugliatore.