Il Regno Unito ha presentato una risoluzione per il cessate il fuoco nel terzo paese più grande dell’Africa al Consiglio di sicurezza dell’Onu: Stati Uniti, Cina, Francia hanno votato a favore, ma la Russia ha usato il suo potere di veto per bloccarla. L’alleanza tra il capo dei paramilitari responsabili delle violenze sessuali e Mosca
“I vostri figli saranno arabi” è lo slogan della campagna di stupri etnici in corso in Sudan. Le vittime delle violenze sessuali – secondo le testimonianze raccolte nell’ultimo report redatto dagli esperti delle Nazioni Unite – sono bambine e donne tra gli otto e i settantacinque anni. Nel paese ci sono 25 milioni di affamati e c’è un campo profughi isolato, Zamzam, dove i dottori di Medici senza frontiere non riescono a curare tutti i bambini malnutriti che muoiono. La regione del Darfur, nel sud-ovest del paese, è la più pericolosa, la più affamata e quella dove si consuma la maggioranza degli stupri usati come un’arma di guerra. La catastrofe umanitaria che è la conseguenza della guerra ha portato il governo britannico a raddoppiare gli aiuti umanitari per i sudanesi. E lunedì il Regno Unito ha presentato una risoluzione per il cessate il fuoco nel terzo paese più grande dell’Africa al Consiglio di sicurezza dell’Onu: gli Stati Uniti hanno votato a favore, la Cina ha votato a favore, la Francia ha votato a favore, ma la Russia ha usato il suo potere di veto per bloccarla.
A cominciare la guerra in Sudan il 15 aprile del 2023 era stato il generale Mohamed Hamdan Dagalo detto “Hemedti”, socio del capo della Wagner Yevgeny Prigozhin fino a quando l’aereo del russo – dopo la tentata marcia su Mosca finita male – è esploso in volo con lui a bordo. L’oro delle miniere sudanesi controllate da Hemedti finiva a Mosca tramite Prigozhin, in cambio i mercenari russi addestravano le truppe del generale sudanese e insegnavano loro a pilotare gli elicotteri. Un po’ di mercenari russi sono rimasti nel paese per supportare i loro alleati in guerra e alcuni uomini delle forze speciali ucraine, che rispondono agli ordini del capo dell’intelligence militare di Kyiv Kyrylo Budanov, sono andati in Sudan per catturare e poi interrogare gli uomini che lavoravano per la Wagner e oggi rispondono direttamente all’intelligence di Mosca.
Hemedti comanda i paramilitari delle Forze di supporto rapido (più famose con il loro acronimo in inglese di “Rsf”), che sono la reincarnazione dei Janjaweed, “i demoni a cavallo” responsabili di buona parte dei trecentomila morti in Darfur all’inizio degli anni Duemila. In Sudan convivono una popolazione araba e una popolazione subsahariana che dall’inizio della guerra è di nuovo perseguitata. I miliziani di Hemedti addestrati dai mercenari russi, oggi come vent’anni fa, sono i responsabili degli stupri etnici delle nere – delle bambine, delle ragazze e delle donne che appartengono alle minoranze etnicamente africane in un paese a maggioranza araba, e che abitano soprattutto nelle città e nei villaggi del Darfur.
L’ultimo rapporto delle Nazioni Unite è accompagnato dall’allarme degli attivisti sudanesi secondo cui i paramilitari delle Rsf “stanno tentando di compiere un genocidio dei gruppi etnici non arabi che popolano il Darfur”. Il nome Sudan, dall’arabo “bilad as-sudan”, significa “il paese dei neri”: già vent’anni fa gli Stati Uniti avevano definito “genocidio” le campagne esplicite di stupri etnici e le uccisioni di massa degli uomini che hanno la pelle nera nella rappresaglia cominciata dopo l’insurrezione contro il governo centrale di alcuni gruppi armati di etnia non baggara (l’etnia araba a cui appartiene il settanta per cento della popolazione sudanese). Le Nazioni Unite però non avevano condiviso il giudizio americano, nella relazione del 31 gennaio 2005 avevano confermato “le uccisioni in massa” e le “violazioni”, ma avevano anche scritto che non potevano essere definite “genocidio” perché “non sembrano esserci intenti genocidari”.
Secondo il nuovo rapporto delle Nazioni Unite, i miliziani che hanno violentato le donne del Darfur hanno minacciato di costringerle ad avere “bambini arabi”. Le sopravvissute del gruppo etnico Masalit intervistate hanno detto che dietro la violenza contro di loro c’era una chiara motivazione razziale. La missione “di accertamento dei fatti” dell’Onu in un passaggio cita una vittima di stupro a cui i paramilitari delle Rsf hanno detto: “Quest’anno tutte le ragazze di qui dovranno essere incinte dei figli dei Janjaweed”.