Da Chef Rubio a Marco Pucciotti, i social network si riempiono di chef che sentenziano sulla guerra israelo-palestinese, evocando il buon senso dietro le varie persecuzioni del popolo ebraico avvenute durante la storia. Invece di rimanere concentrati sui fornelli a occuparsi di coloro a cui cucinano i loro piatti
E lasciatemi mangiare in pace! A tavola, per godere appieno del cibo e della compagnia, bisogna evitare alcuni temi sibilanti: sesso, soldi, salute. Ma l’argomento tabù per eccellenza, quello che non va affrontato nemmeno di striscio, nemmeno se si pensa di essere tutti d’accordo, è la politica. Come sa ogni persona beneducata. I cuochi antisemiti o antisionisti (non sono sinonimi perfetti eppure si somigliano tanto) della presente ondata post 7 ottobre sono innanzitutto persone maleducate. Come gli è venuto in mente a Marco Pucciotti, “noto imprenditore del food romano, titolare di una decina di locali” ma anche, evidentemente, allievo di Chef Rubio, di scrivere su Facebook un post così poco gastronomico? “Egiziani. Romani. Turchi. Russi. Tedeschi. Non è che tutti avevano torto”. Tutti questi popoli hanno perseguitato, in diversi momenti, in diversi modi, gli ebrei.
Null’altro li accomuna. Tutti coloro che hanno letto il post hanno capito subito e hanno capito benissimo, molti apprezzando, qualcuno ammutolendo, Paolo Manfredi di Confartigianato ammonendo: “L’antisemitismo, oltre che un orrore, è un reato”. Io che credo nella più assoluta libertà di espressione, e finanche nel diritto alla cazzata già teorizzato a suo tempo da Ugo Tognazzi, non farò l’indignato, solo l’infiammato. Di stomaco. Se a tavola mi parli di sesso penso alle rose che non colsi e mi viene la gastrite. Se mi parli di salute penso ai famigliari ammalati e mi viene doppia gastrite. Se mi parli di soldi penso al pagamento delle tasse e mi viene gastrite tripla. Se mi parli di guerra israelo-palestinese penso all’apocalisse atomica prossima ventura e mi passa pure l’appetito, e dei tuoi millanta locali, Sbanco (pizzeria), Blind Pig (cocktail), Umami (giapponese), Mostro (bar), Hop&Pork (birreria), Epiro (ristorante), Nerd (drink), Eufrosino (osteria), A Rota (pizzeria), Fame (hamburgheria), A’Rigatò (ravioleria), non ho più bisogno.
So bene di essere anch’io pieno di pregiudizi. Un tantino meno truci, però. A qualcuno piacciono gli ebrei nei lager, a me piacciono i cuochi in cucina. Silenti. Concentrati sui fornelli. Nutro un radicato e forse un po’ razzista preconcetto verso gli spignattatori incontinenti, twittaroli, postaroli, intervistomani. Prendiamo il succitato Chef Rubio che è di Frascati ma invece della ricetta dei carciofi alla romana (quella dei carciofi alla giudìa sarebbe troppo, me ne rendo conto) su X scrive “Zionism = Mafia, Genocide, Ethnic Cleansing, Colonialism, Terrorism, Racism, Fascism, Supremacism”. Dopo una lettura così poco appetitosa sento il bisogno di Totò: “A proposito di politica, ci sarebbe qualche cosarellina da mangiare?”. No, non c’è, o almeno non negli ultimi cento o mille post: sempre e solo Gaza, mai nemmeno una puntarella. Gabriele Rubini (così all’anagrafe) deve avere appeso la padella al chiodo e forse è meglio, avendo appunto dei pregiudizi credo che per la ristorazione italiana non sia una grande perdita.
Non confido nella resipiscenza di Rubio e Pucciotti, cuocia ognuno nel proprio brodo, spero invece che le loro dichiarazioni indigeste insegnino qualcosa a tutti gli altri operatori. Che mi lascino mangiare in pace. Non pretendo che la si pensi allo stesso modo ma che il pasto sia una tregua. Da un po’ di tempo ai cucinieri piace rivisitare le ricette della nonna. Bene: con la nonna parlavate di Arafat? No di sicuro, e allora non mettetevi a discutere di Netanyahu con me. Secondo Brillat-Savarin “invitare qualcuno a pranzo vuol dire incaricarsi della sua felicità durante le ore che egli passa sotto il vostro tetto”. Cuoco, fammi felice: taci!