Si circonda di personaggi controversi e improbabili che scaldano la base Maga, ma lasciano perplessi anche i repubblicani. Nella nuova geografia di Washington occorrerà sapere a quali porte bussare e quali invece evitare. Quattro persone possono fare da argine
È passata da tempo l’epoca in cui Henry Kissinger ironizzava sulle relazioni atlantiche, dicendo che non sapeva a chi telefonare per “parlare con l’Europa”. Dal 20 gennaio prossimo la battuta si potrebbe invertire, con i leader europei che stavolta si interrogheranno su chi chiamare a Washington, per parlare con un interlocutore affidabile. Le prime nomine di Donald Trump non hanno certo rassicurato in questo senso, ma c’è comunque qualche nome da inserire nei prossimi anni tra i preferiti nelle rubriche telefoniche dei leader internazionali. Ce ne sarà bisogno per avere controparti che non siano solo fedelissimi del presidente. La scelta del neo rieletto Trump di circondarsi di personaggi controversi e improbabili, che scaldano la base Maga ma lasciano molte perplessità anche all’interno del Partito repubblicano, fa prefigurare una nuova geografia a Washington dove occorrerà sapere a quali porte bussare e quali invece evitare.
Per come sta emergendo l’Amministrazione Trump 2, è probabile che il principale interlocutore “alternativo” sarà il vicepresidente J. D. Vance. Il giovane senatore dell’Ohio che si appresta a traslocare al Naval Observatory, la residenza ufficiale del numero due dell’Amministrazione, con ogni probabilità diventerà un punto di riferimento per chi cercherà di decifrare le scelte di Trump o le sparate di Elon Musk e Robert F. Kennedy Jr . Vance ha dimostrato di essere un fedele braccio destro per il presidente eletto, ma ha anche una propria storia e credibilità, è un intellettuale che fa da punto di riferimento a una New Right repubblicana che cercherà di guidare le scelte in materia di politica estera, difesa, scambi commerciali internazionali. Alla Casa Bianca, l’“adulta di riferimento” potrebbe essere Susie Wiles, la stratega che ha aiutato Trump a vincere le elezioni e che è stata premiata con il ruolo chiave di chief of staff. Il neo presidente la ascolta, la rispetta e un po’ la teme, è l’unica capace di dirgli le cose in faccia senza sconti e sarà anche la persona che regolerà gli accessi allo studio ovale.
Un terzo personaggio destinato ad avere un enorme potere nella nuova Washington repubblicana è John Thune, che prenderà il posto di Mitch McConnell come leader del Senato. Il senatore del South Dakota non è un trumpiano convinto, non era neppure il candidato preferito da Trump per la successione all’eterno McConnell, ma proprio per questo il suo ufficio sarà ora la principale meta di pellegrinaggio per chi cerca interlocutori fuori dall’ecosistema Maga.
Con Vance, Wiles e Thune, a completare il poker dei pezzi da novanta che potrebbero mitigare il ciclone Trump-Musk-Kennedy c’è il segretario di stato Marco Rubio. Il senatore della Florida, come molti altri, è un convertito recente al trumpismo, come Vance e Thune proviene da altre sponde e potrebbe rivelarsi l’interlocutore più prezioso nella nuova Amministrazione per i leader del resto del mondo.
In attesa di conoscere la squadra economica di Trump, toccherà in buona parte a loro rimettere “in bolla” un’Amministrazione che rischia di sbandare su molti fronti. Il Pentagono è un’incognita assoluta, con l’arrivo come ministro della Difesa dell’anchorman di FoxNews Pete Hegseth, un ex militare senza esperienze amministrative che dovrà gestire l’enorme apparato e il budget gigantesco delle forze armate americane.
Ancora più complessa e controversa è la situazione al ministero della Giustizia, dove la scelta del deputato della Florida Matt Gaetz come attorney general ha creato un terremoto. Gaetz è pieno di nemici anche nel suo partito, ha molteplici problemi etici ed è una delle figure più divisive che esistano in America. Se il Senato controllato dai repubblicani deciderà di opporsi a qualcuna delle nomine di Trump – tocca ai senatori ratificarle – è probabile che metterà Gaetz in cima alla lista, seguito da Hegseth.
In politica estera, se Rubio può essere abbastanza rassicurante e tradizionale per gli interlocutori della comunità internazionale, altrettanto non si può dire della futura ambasciatrice all’Onu, Elise Stefanik, che da tempo sostiene la necessità di far sparire le Nazioni Unite e non ha alcuna esperienza di affari globali. Più interessante sarà invece osservare Mike Huckabee nella nuova veste di ambasciatore degli Stati Uniti in Israele. L’ex candidato repubblicano alla Casa Bianca è un dichiarato sionista e un amico di lunga data di molti esponenti del governo israeliano. Esperto conoscitore del medio oriente, rischia di entrare in rotta di collisione con Jared Kushner – se il genero di Trump tornerà ad avere peso nell’Amministrazione – su come dialogare con i paesi arabi in chiave anti Iran.
Sfidante, per usare un eufemismo, sarà trovare interlocutori solidi sul fronte dell’intelligence. Il prossimo direttore della Cia, John Ratcliffe, è un fedelissimo di Trump che difficilmente dirà qualcosa di scomodo al presidente. Tulsi Gabbard, direttrice della National Intelligence, è un’ex democratica dalle idee poco ortodosse in politica estera, isolazionista e poco disponibile a discutere con referenti internazionali. Quanto alla sicurezza interna degli Stati Uniti, sarà affidata alla governatrice del South Dakota Kristi Noem, un’altra fedelissima celebre soprattutto per aver raccontato di aver ucciso il suo cane e per aver ballato per quaranta minuti sul palco con Trump, durante un celebre evento in campagna elettorale nel quale il candidato decise di far ascoltare a tutti la sua playlist.
Altri interlocutori che potrebbero rivelarsi interessanti e capaci di decifrare le incognite del mondo Maga, nella nuova Washington, sono Doug Burgum, nominato ministro dell’Interno (si occupa di terre federali e gestione delle risorse energetiche) e Linda McMahon e Larry Kudlow, che guidano con Brooke Rollins il think tank America First Policy Institute (Afpi), il pensatoio di riferimento del Trump 2. McMahon sta anche guidando il team della transizione e potrebbe avere un ruolo nella nuova amministrazione. Afpi sarà in ogni caso il luogo dove si deciderà buona parte della linea politica trumpiana, più che in altri centri studi conservatori come Heritage Foundation e American Enterprise Institute, che si apprestano comunque a tornare in primo piano.