Il novembre di Kherson, del Mar Nero e di Kursk. Ricordi di guerra

Quel che si ricorderà di questi mille giorni di combattimenti dell’esercito di Kyiv è certo. Che paese sarà l’Ucraina è ancora una storia da scrivere

Le stagioni e i mesi in Ucraina portano con loro i cambiamenti al fronte: c’è una guerra che si combatte d’inverno e una d’estate, ci sono offensive di primavera e controffensive d’autunno. Ogni mese ha i suoi ricordi e anche oggi si pensa ai novembri che sono stati, consapevoli che ne sono già passati tre in guerra. I bilanci sono spesso dolorosi, ma nel 2022, a novembre, Kyiv festeggiava il ritiro russo da Kherson, la prima grande città che Mosca era riuscita a occupare, in un’oblast’ caduta quasi subito davanti all’avanzata dell’esercito russo. Quando i russi lasciarono la città, ritirandosi dall’altra parte del fiume Dnipro, una bandiera europea comparve nella piazza principale della città, i cittadini tornavano alla vita avvolti dai colori dell’Ucraina mentre attendevano i soldati di Kyiv, al grido “Mi z Ukraïni”. Fu l’ultima grande controffensiva ucraina di terra, perché l’anno successivo, a novembre, era il mare il punto di vittoria di Kyiv.

Pur non avendo una marina, l’Ucraina è riuscita a respingere la flotta russa nel Mar Nero, colpendo una nave dopo l’altra, costringendo Mosca ad abbandonare alcuni dei porti occupati in Crimea. La guerra si misura in terra, è questione di fronti tracciati in una linea del terreno, ma senza le conquiste in mare contro una flotta potente come quella russa, le attività del porto di Odessa non sarebbero mai ricominciate e l’Ucraina avrebbe dovuto rinunciare a una delle sue fonti di sostentamento. Fu una liberazione poco raccontata, epica per un paese senza flotta. Il prossimo novembre riaffioreranno altri ricordi, di questo mese dei mille giorni di guerra, tornerà in mente la vittoria di Donald Trump, la caduta del divieto di usare i missili a lungo raggio Atacms per colpire la regione russa di Kursk, come forse ultima eredità di Joe Biden. Quel che si ricorderà è certo, che paese sarà l’Ucraina è ancora una storia da scrivere.

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull’Unione europea, scritto su carta e “a voce”. E’ autrice del podcast “Diventare Zelensky”. In libreria con “La cortina di vetro” (Mondadori)

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