Hezbollah lancia razzi su Unifil, usa armi russe e attacca Israele

L’Amministrazione Biden accelera per arrivare a un accordo in Libano: lo stato ebraico, l’inviato americano Hochstein e funzionari libanesi sono ottimisti. Ma sul campo di battaglia il conflitto è globale

Tre strutture di Unifil sono state colpite in Libano, incluso il quartier generale del contingente italiano a Shama. In tutto sono stati lanciati otto razzi, uno ha ferito quattro Caschi Blu ghanesi e secondo il comunicato della forza di interposizione, il lancio è partito da “un attore non statale”, modo camuffato per parlare di Hezbollah. Il ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani ha detto: “Hezbollah non ha alcun diritto di toccare le truppe italiane, che hanno garantito anche la loro sicurezza”. La responsabilità di Hezbollah è stata confermata anche dal ministero della Difesa, nonostante nelle prime dichiarazioni il ministro Guido Crosetto avesse accusato Israele dell’attacco “intollerabile”. L’Argentina ha fatto sapere che ritirerà i suoi Caschi Blu, i cenni di un accordo che potrebbe arrivare nei prossimi giorni tra Israele e Hezbollah non cambiano la situazione sul campo.

Oggi era a Beirut l’inviato speciale degli Stati Uniti Amos Hochstein, impegnato in quello che potrebbe essere uno dei suoi ultimi viaggi in medio oriente per tentare di ottenere un accordo per il cessate il fuoco, nonostante le notizie sul campo di battaglia ha detto che la soluzione è “a portata di mano”. Israele parla di un possibile accordo da settimane, mentre anche i leader libanesi iniziano a ventilare l’idea di un’intesa buona. Il presidente del Parlamento del Libano, Nabih Berri, del partito sciita Amal, alleato principale di Hezbollah, ha detto che attende di vedere altri dettagli: in questo momento rappresenta la figura che maggiormente può parlare a nome di Hezbollah, che comunque andrà convinto ad accettare l’intesa. Non si sa cosa preveda l’accordo sponsorizzato da Hochstein, se non il ritiro del gruppo militare a nord del fiume Leonte, come previsto dalla risoluzione 1701 delle Nazioni Unite del 2006. Sarà l’esercito libanese, come era stato già stabilito diciotto anni fa, a occuparsi della sicurezza del confine sud del Libano, probabilmente con il sostegno, almeno temporaneo, di altre forze diverse da Unifil. L’Amministrazione americana uscente sta puntando a un accordo sul Libano, ribaltando il principio che aveva guidato le scelte negoziali fino a qualche mese fa e che prevedevano che sarebbe stata un’intesa con Hamas su Gaza a permettere il cessate il fuoco con Hezbollah. Ora la pace in Libano e il ritorno dei cittadini israeliani che hanno dovuto lasciare le loro case nel nord del paese sembrano obiettivi più raggiungibili. Secondo fonti non confermate anche la Repubblica islamica dell’Iran sarebbe per un cessate il fuoco, non vuole che la sua milizia che ha armato con cura perda tutto il potere dentro al Libano: finora nelle bozze di accordo che sono circolate non ci sono punti sullo smantellamento dell’organizzazione se non dal punto di vista militare e a Teheran conviene che Hezbollah continui ad avere la sua presenza nel paese affacciato sul nord di Israele e prosegua a gestire e bloccare il futuro della politica libanese.



Beirut è sempre più una questione internazionale, Israele è riuscito a smantellare la catena di comando di Hezbollah, ma la forza militare del gruppo ancora funziona: i miliziani sono armati e dalle viscere dei loro depositi non escono soltanto armi iraniane. Secondo il Wall Street Journal, negli arsenali nel sud del Libano, Tsahal sta rinvenendo un numero considerevole di armi russe e non soltanto di vecchia generazione e produzione sovietica, ma anche recenti e sofisticate come missili anticarro Kornet fabbricati nel 2020, arrivati in Libano dalle scorte dell’esercito siriano. I Kornet sono difficili da intercettare, sono stati spesso letali per i soldati israeliani. Come i droni iraniani vengono usati dall’esercito russo contro l’Ucraina, così le armi russe finiscono nelle mani di Hezbollah contro Israele.

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull’Unione europea, scritto su carta e “a voce”. E’ autrice del podcast “Diventare Zelensky”. In libreria con “La cortina di vetro” (Mondadori)

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