Euforia Schlein tra Pedro e Giuseppi: sente Sánchez sullo stallo Ue e attende Conte su M5s

La segretaria del Pd si gode i successi delle regionali e viene coinvolta nella paralisi della commissione Ue. I dem e Avs alle prese con le contorsioni grilline sulle alleanze in attesa del voto della base

“Scusate, ma devo proprio rispondere al telefono”. Elly Schlein si trova nella galleria dei fumatori della Camera. Come un gatto si stacca dalla compagnia umbra ed ebbra, Bonelli & Fratoianni, inizia a fumare l’Iqos e sfodera l’iPhone : “Hello, Pedro!”. E’ Sánchez. La segretaria del Pd continuerà la conversazione – in inglese – con il premier e leader dei socialisti spagnoli. Al centro lo stallo alla messicana sulle nomine per la commissione Ue di Ribera, Fitto e del candidato ungherese di Orbán , Varhelyi. Schlein, terminata la telefonata, dice con un sorriso dei suoi: “Oggi è una giornata fantastica”. Poi da cinefila si corregge: “Anzi, una giornata particolare”. Ride, passo lungo e va via.



In effetti è un lunedì vannacciano in Transatlantico. Cioè un po’ mondo alla rovescia: a destra sono mogi e schivi tipo morte del gatto; a sinistra, dalle parti del Pd, è tutto un abbraccio, un darsi di gomito e il cinque, con il senatore Walter Verini che si prende da deus ex machina del Pd umbro un sacco di (meritati) complimenti. Anche Andrea Orlando, unico sconfitto di questa terna di elezioni, si aggiunge, molto pacificato: chissà se rimarrà a fare l’opposizione a Marco Bucci in Liguria, e anche il regista delle comunali a Genova, o se alla fine continuerà a stare alla Camera. Pensieri a briglia sciolta perché dalle parti di Schlein oggi è il giorno dei peana e anche del “siamo una squadra fortissimi”. Dispacci dal Nazareno: “Il nostro 2024 ha registrato 6 a 0 per noi nelle città capoluogo di regione dove partivamo dal 3-3, su sette governatori in cui partivamo da 6 a 1 per loro siamo arrivati a 4-3 per loro. Alle politiche, poi, tra noi e FdI c’erano 8 punti di distanza che alle europee sono diventati 4”.


Pulsioni da vocazione maggioritaria di veltroniana memoria, allegria, bicchiere sempre mezzo pieno. Cin cin. Ecco Bonelli: “Noi dobbiamo assumere uno schema come quello del centrodestra dove Meloni, Tajani e Salvini si dividono compiti, aree e in un certo senso elettorato”. Fin qui sembrerebbe un mondo fantastico, per il Pd, che però tale non è del tutto. Un po’ perché Matteo Renzi, più di Carlo Calenda, continua a bussare alla porta del centrosinistra contro chi mette veti e non ha voti aizzando polemiche stile “vengo anch’io, no tu no”. Un po’ perché, soprattutto, c’è un convitato di pietra in questo racconto: si chiama Giuseppe Conte. O meglio si chiama M5s. Nel Pd e in Avs sono tutti abbastanza preoccupati, e rispettosi, dalle dinamiche dei grillini (che tali tecnicamente e ontologicamente ormai non sono più). Nel fine settimana l’ex premier con i suoi quesiti proposti alla base si gioca l’osso del collo. Deve centrare il quorum, altrimenti il Garante gli fa ripetere il voto. In più, è preoccupato, e molto, dalla risposta degli attivisti alle domande sulla collocazione politica. Il punto A, con diverse sfumature, mette il M5s nel campo progressista. Tuttavia il secondo quesito chiede se forse non sarebbe il caso di essere autonomi e indipendenti. Né di destra né di sinistra, come alle origini, ma in uno schema ormai bipolare. E’ quella che al Nazareno, con sintesi forse approssimativa, bollano come “linea Travaglio”. Nel senso di Marco, l’ascoltato direttore del Fatto. La base la pensa come Travaglio, va detto. Basta leggere i commenti sotto l’ultimo post di Stefano Patuanelli, capogruppo in Senato. Conte venerdì scorso, durante la chiusura della campagna elettorale con tutti i leader del campo largo a Terni, ha confessato che se non dovesse passare il via libera al campo progressista “cambierebbe lavoro”. Nel Pd non sanno cosa pensare. Anche se il movimento che fu di Grillo – tornato a sfottere Conte “mago di Oz e ultimo dei giapponesi” – fatica a capire che strada prendere. E come collocarsi anche nel centrosinistra, qualora fosse. “Il nostro peso specifico nella coalizione è al lumicino”, dice Chiara Appendino. Il voto in Umbria ed Emilia- Romagna è stato impietoso, ultima perla di una collana sgraziata. Tanto che senza grillini, numeri alla mano, Proietti e De Pascale avrebbero vinto lo stesso. Un rebus per Schlein a cui si sommano le tensioni da sinistra per l’ “entrismo” di Renzi. La segretaria del Pd ride. E forse pensa che sia più facile sbloccare l’impasse a Bruxelles che gestire una coalizione così. Riappare: “Ma oggi è una giornata bellissima, non trova? Sono le 17 e da quanto sono stata al telefono mi sono dimenticata perfino di pranzare. Anzi, vado subito”.


Simone Canettieri

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  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d’autore.

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