Scholz chiama Putin e Zelensky avverte: no a dei nuovi accordi di Minsk

Perché il cancelliere tedesco ha parlato adesso con il capo del Cremlino. Il precedente della telefonata di Trump, i timori ucraini e i segnali da cogliere da Berlino

La vittoria di Donald Trump, lo sfaldamento della coalizione semaforo in Germania, le elezioni anticipate che si terranno il 23 febbraio prossimo quindi il giorno prima del compimento del terzo anno di guerra in Ucraina, un Partito socialdemocratico in cerca di un leader che non sia Olaf Scholz e infine la chiamata a Vladimir Putin. Tutti questi elementi vanno legati insieme e da sfondo va tenuto ben presente quanto ciò che accade a Berlino ha un impatto sulle dinamiche europee – come ogni paese, ma un po’ di più degli altri paesi. Ieri il cancelliere tedesco Scholz ha chiamato Vladimir Putin. I telefoni tra Berlino e Mosca non squillavano da dicembre del 2021. Nessuno degli alleati era all’oscuro della telefonata, e tutti, alla fine della conversazione, hanno ricevuto un rapporto da parte del cancelliere tedesco. Primo fra tutti Zelensky che ha definito la chiamata lo scoperchiamento del vaso di Pandora a cui seguiranno illusioni, mentre Kyiv sprofonda nella paura di essere trascinata in un Minsk 3, dal nome degli accordi che seguirono l’aggressione russa del 2014, che furono una trappola per l’Ucraina mentre Mosca preparava l’invasione definitiva. “Minsk 3 non accadrà”, ha detto il presidente ucraino nel suo messaggio serale ai cittadini.



Secondo il Washington Post, domenica scorsa, Vladimir Putin avrebbe parlato anche con il futuro capo della Casa Bianca Donald Trump. Il Cremlino ha negato e il quotidiano americano ha rincarato dicendo di avere la conferma da fonti solide, mentre la squadra di Trump non ha rilasciato dichiarazioni ufficiali. Scholz sarebbe quindi il secondo leader occidentale a parlare con Putin nel giro di una settimana e durante la conversazione, che il Cremlino ha definito “dettagliata e sincera”, il cancelliere tedesco ha ribadito l’“incrollabile determinazione a sostenere l’Ucraina per tutto il tempo necessario”: la Germania rimane il secondo fornitore di armi dopo gli Stati Uniti. Putin si sarebbe lamentato di come le relazioni russo-tedesche si siano deteriorate a causa dell’ostilità di Berlino, ha detto di essere disposto a parlare di energia, ha accusato la Nato per l’inizio della guerra e ha detto la frase che continua a ripetere dal 2022: “Mosca resta aperta a riprendere i negoziati interrotti dal regime di Kyiv” (secondo quanto scritto sul comunicato del Cremlino). Scholz ha esortato la Russia a negoziare con l’Ucraina “per una pace giusta e duratura” (secondo la dichiarazione del governo tedesco), ma Putin ha ribadito le sue posizioni che rimangono foriere di una pace ingiusta e temporanea: sovranità russa in Crimea e nelle regioni di Kherson, Zaporizhzhia, Donetsk e Luhansk, anche nei territori non occupati, esclusione di Kyiv dal percorso verso la Nato, riduzione del suo esercito, adozione di politiche riguardo alla lingua russa e alla storia dettate dal Cremlino. Mosca non si muove di un passo, mentre attorno sta cambiando tutto, mentre la guerra in Ucraina non si ferma, mentre la Casa Bianca si prepara a un cambiamento radicale in politica estera: nel 2016, il passaggio da Barack Obama a Trump fu forte, soprattutto nelle relazioni tra Washington e Bruxelles, ma il disimpegno internazionale che il presidente eletto promette con il suo secondo insediamento è drasticamente opposto alla politica di Biden di assistenza incrollabile ai suoi alleati in giro per il mondo.



Quello che non cambia è invece il Cremlino, Putin resta saldo al suo posto, le intelligence straniere valutano la struttura che ha costruito attorno a sé solida per andare avanti ancora per molto: non si vedono crepe nel suo entourage, non ci sono spaccature con il mondo dell’economia, non c’è una tendenza alla rivolta da parte della popolazione. L’opposizione russa è espatriata, ha scelto proprio Berlino come suo centro nevralgico e per domenica ha programmato una grande manifestazione per mostrarsi unita. Gli organizzatori del corteo sono Yulia Navalnaya, Ilja Yashin e Vladimir Kara-Murza, anime diverse dell’opposizione, ognuno con le proprie idee, tutti trovatisi al loro posto per la morte di qualcun altro e dopo aver rischiato la loro vita: Kara-Murza e Yashin sono sopravvissuti alle prigioni russe in cui erano stati reclusi per aver protestato contro la guerra, mentre Navalnaya ha preso il posto del marito Alexei che alla prigione russa non è sopravvissuto. A dividere i tre è anche la posizione riguardo all’aggressione russa dell’Ucraina e come dovrebbe finire. Proprio la vedova di Navalny è stata contestata per aver detto di non essere sicura che sia giusto rifornire l’Ucraina di armi. Partire da Berlino è un buon modo per capire cosa accadrà in Russia.

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull’Unione europea, scritto su carta e “a voce”. E’ autrice del podcast “Diventare Zelensky”. In libreria con “La cortina di vetro” (Mondadori)

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