Pubblicizzare un chatbot è un grosso problema per Apple e Google

Gli spot prodotti dai due colossi del tech per promuovere i rispettivi servizi di intelligenza artificiale mettono in piedi scene di vita quotidiana poco “sincere”, lanciando prospettive per il futuro per nulla apprezzate dal pubblico

Come si fa una pubblicità per un chabot? È una domanda a cui alcune delle aziende più ricche – e con il miglior pedigree in fatto di spot pubblicitari – non riescono a rispondere. Il problema non è tanto creativo quanto contenutistico: viene dall’alto, quindi, dal cliente, e finora le varie agenzie pubblicitarie non sono riuscite a risolverlo.

Nonostante siano ormai due anni che si parla solo di intelligenze artificiali generative, infatti, il settore è ancora alle prese con alcuni dubbi sul suo futuro. Tra tutti, la concorrenza crescente e come abbassare gli enormi costi energetici (e ambientali) di queste tecnologie. In questi giorni, inoltre, è circolato un articolo del sito The Information che sembra confermare i sospetti di alcuni scettici delle AI: i nuovi modelli di OpenAI, azienda sviluppatrice di ChatGPT, non sono così più potenti dei precedenti. Abbiamo raggiunto il plateau dei modelli linguistici?

Vedremo. Nel frattempo, rimane il problema comunicativo, come dimostra un recente spot di Apple per Apple Intelligence, la suite di AI dell’azienda, che non ha fatto un’ottima impressione sul pubblico. Nello spot vediamo un quadretto familiare come tanti: è il compleanno del padre della famiglia, che riceve dei bei regali dalle due figlie, mentre, dietro di loro, la moglie si rende conto di essersene del tutto dimenticata. Come fare? Beh, basta chiedere all’iPhone di usare Apple Intelligence per creare un video mettendo insieme dei ricordi di famiglia. Pochi secondi dopo, il video è pronto e il marito, ignaro di tutto, ci casca.

Molti commenti al video concordano sulle pessime “vibes” dello spot, che sembra seguire l’esempio dello spot di Google, trasmesso durante le Olimpiadi di quest’estate, in cui un padre di famiglia vuole aiutare la figlia, che è un’atleta, a scrivere una lettera alla campionessa statunitense Sydney McLaughlin-Levrone. Ma la lettera è troppo importante, quindi l’uomo decide di farla scrivere a Gemini, il chatbot di Google.

Lo spot fu prontamente ritirato dopo le molte critiche ricevute. In inglese si dice “read the room”, leggere la stanza, valutare una situazione: insomma, capire l’aria che si respira in un ambiente e regolarsi di conseguenza. Tutte cose che né Google né Apple sono state in grado di fare, mostrando questi strumenti alle prese con mansioni familiari, intime, umane. Mentre i robot accudiscono i nostri figli, non ci resta che lavorare, insomma. Bella prospettiva per il futuro.

Queste aziende si cacciano in questi guai perché non possono dire la verità. Uno spot “sincero” mostrerebbe un programmatore farsi scrivere il codice da ChatGPT (per poi, al massimo, ricontrollarlo), o usare un’AI per scrivere un report, leggere le mail, tradurre documenti o generare testi per presentazioni. Il rischio è di dire troppo, e non farci una grande figura. Per non parlare degli studenti, che usano questi chatbot non tanto come strumento didattico e di ricerca ma per fare i compiti (tanto da rendere di fatto inutile assegnare compiti simili, se poi li fa l’AI). Non è colpa loro, quindi. Però la prossima volta se provassero a fare uno spot su una famiglia più tradizionale, alla Mulino Bianco, sulla famiglia felice e armoniosa, forse il risultato sarà migliore.

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