Per contribuire alla Nato come vuole Trump ci servono 10 miliardi l’anno. Dove trovarli?

Le alternative non sono molte e tutte poco realistiche: è facile chiedere all’Europa di fare più debito per finanziare le esigenze dei paesi membri nei prossimi anni, ma è necessario indicare in modo chiaro dove si potranno trovare le risorse aggiuntive per garantire tale debito

L’elezione di Donald Trump sembra aver bruscamente risvegliato la memoria di molti governi europei sull’impegno preso da tutti i paesi membri della Nato di aumentare la spesa militare, almeno fino alla soglia minima del 2 per cento del prodotto interno lordo. In realtà, quell’impegno risale al 2006 e fu ribadito al vertice del 2018 a Bruxelles, quando Trump minacciò di ritirarsi dall’Alleanza atlantica. Da allora, molti paesi si sono adeguati: 23 membri dell’Alleanza su 31 hanno raggiunto o superato la soglia prevista. Ne mancano all’appello 7, tra cui l’Italia, la Spagna, il Canada e il Belgio. Trump non sembra essersi dimenticato della promessa che gli è stata fatta. Durante la recente campagna elettorale ha dichiarato che l’articolo 5 del trattato Nato – che obbliga i membri alla difesa comune in caso di attacco esterno – non si applicherà più nei confronti dei paesi inadempienti e che gli Stati Uniti non si sentiranno vincolati a proteggere chi non spende almeno il 2 per cento del pil in difesa. Si è addirittura spinto fino a sostenere che avrebbe incoraggiato la Russia ad attaccare i paesi inadempienti fin quando non rispetteranno gli accordi.

Nel caso dell’Italia manca circa mezzo punto di pil per raggiungere l’obiettivo del 2 per cento, ossia 10 miliardi di euro all’anno. Il problema è come finanziare tale spesa. Le alternative non sono molte. O si riducono altre spese, oppure si aumentano le entrate fiscali. Un’altra possibilità è quella di finanziare la spesa militare aggiuntiva a debito, ossia attraverso l’emissione di titoli di stato. Per un paese che ha già un debito elevato, come l’Italia, tale soluzione appare problematica e rischia di compromettere la sostenibilità delle finanze pubbliche. Secondo le stime del ministero dell’Economia, contenute nel Piano strutturale di bilancio di medio termine pubblicato nel settembre scorso, il debito italiano continuerà a salire nel prossimo biennio, fino al 137,8 per cento del pil nel 2026, e poi tornare sul livello dello scorso anno solo nel 2029. Queste stime si basano peraltro su ipotesi di crescita economica che, in base ai dati più recenti, rischiano di rivelarsi eccessivamente ottimistiche.

Come capita spesso in Italia quando ci si confronta con tali dilemmi, si è fatta avanti l’idea di finanziare la maggior spesa militare italiana con debito europeo, ripercorrendo l’esperienza del Next Generation Eu, deciso dopo la pandemia per finanziare i Piani di ripresa e di resilienza degli stati membri. L’ipotesi è irrealistica. Per vari motivi. Il primo è che si tratta di una spesa ricorrente, su base annua, e non una tantum com’era il caso dei finanziamenti europei accordati nell’ambito del Next Generation Eu. Il secondo motivo è che il divario riguarda solo 6 paesi europei, mentre gli altri sono già in linea con i requisiti. Non si vede il motivo per cui questi ultimi dovrebbero contribuire – attraverso trasferimenti diretti – a supportare il costo dell’inadempienza degli altri. Il terzo motivo – più importante e forse meno compreso, segnatamente in Italia – è che qualsiasi debito europeo deve essere garantito da un bilancio europeo. Per poter emettere nuovi titoli pubblici europei che siano accettati dai mercati finanziari, è necessario identificare delle nuove entrate fiscali a livello europeo, per gli anni a venire. Questo è l’ostacolo principale. In effetti, gli stati membri sono riluttanti a privarsi di entrate tributarie a favore dell’Unione europea o a trasferire altre risorse dai bilanci nazionali a quello europeo. Sono altresì contrari a concedere all’Unione capacità fiscale autonoma. Lo dimostra il fatto che, a quattro anni di distanza dal lancio del Next Generation Eu, non si è ancora trovato l’accordo sulle risorse che devono coprirlo. Il negoziato sul prossimo bilancio comunitario si presenta peraltro pieno di insidie.

In sintesi, è facile chiedere all’Europa di fare più debito per finanziare le esigenze dei paesi membri nei prossimi anni, che si tratti di investimenti pubblici per rafforzare la competitività del continente o di spese per la difesa, per la transizione ecologica, la digitalizzazione o la politica industriale. Tuttavia, per essere credibili è necessario indicare in modo chiaro dove i paesi europei potranno trovare le risorse aggiuntive per garantire tale debito, anno dopo anno. Altrimenti nessuno sarà disposto a comprarlo. Vale la pena ricordare, al riguardo, che nella media europea le entrate fiscali rappresentano già circa il 46,5 per cento del pil, contro il 30 per cento degli Stati Uniti.

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