Leggere alle Atp Finals

Durante il Master di fine stagione tra i migliori otto giocatori della classifica Atp ci sono le premiazioni del premio di letteratura sportiva nato nel 2022 e dedicato alla memoria di Gianni Mura. Qualche consiglio letterario

Nel corso dei meravigliosi giorni torinesi delle Atp Finals, uno degli highlights del programma (fuori dal rettangolo di gioco, si intende) rappresenta la giornata finale del premio di letteratura sportiva nato nel 2022 e dedicato alla memoria di Gianni Mura. Un intreccio fra sport e libri che coinvolge anche pubblico, studentesse e studenti delle scuole nella votazione dei loro libri preferiti. Il premio è suddiviso in tre sezioni: il miglior libro di letteratura sportiva per le scuole che quest’anno si è aggiudicato Patrizia Fortunati, “Noi siamo la Belinda” (Giunti), il miglior libro dell’anno sul tennis, andato a Yannick Noah con Antoine Benneteau, “1983” (Fandango) e il miglior libro di letteratura sportiva, a cui dedico questa rubrica per bellezza del testo e perché molto in sintonia proprio con lo sguardo indimenticabile di Gianni Mura, dedicato spesso a figure laterali, a personaggi (apparentemente) minori, ad attori non protagonisti del mondo dello sport. Meritatissimo, dunque, il successo di Remo Rapino, “Fubbàll” (minimum fax, 2023): “Appena fuori dal paese c’era un campo di calcio, che al mio paese il calcio era quasi una religione, solo che al posto della chiesa ci stava il campo, al posto del parroco ci stava l’allenatore, al posto del sagrestano ci stava il magazziniere, al posto dei fedeli ci stava il pubblico, al posto delle preghiere i cori e le bestemmie della domenica”. Una funzione domenicale come una messa cantata, i cui protagonisti sono le dodici “figurine” di Rapino, tutte storie vere, di protagonisti del fubbàll (così si chiama lì) abruzzese, personaggi che permettono all’autore di intrecciare, con grande armonia, calcio, politica, storia, filosofia. Scelgo, per tutti, Oliviero il “mister partigiano”, uno per cui il calcio è davvero un fatto sociale.

L’altra metà della rubrica è dedicata proprio a lui, rappresentante d’eccellenza del pantheon dei grandi Gianni della letteratura sportiva italiana insieme a Brera, Minà, Clerici. Proprio in questi giorni esce un gioiellino di Gianni Mura, “Il calcio di una volta” (ilSaggiatore, 2024). Un libro piccolo nelle dimensioni e nella fogliazione, ma gigante nello struggimento e nella nostalgia che evoca. Racconta di eroi solitari, spesso melanconici, molto vicini a quelli evocati da Remo Rapino. Racconta di un calcio che oggi, davvero, non esiste più, grazie a una raccolta di aforismi. Poche righe di testo, tranne alcune eccezioni, che sono un viaggio nel tempo e nello spazio, un tuffo nella nostalgia che alle persone più avanti con gli anni rischia di far luccicare gli occhi, ma che ci sentiamo di consigliare anche ai più giovani, quelli che quel calcio lì, non hanno avuto la fortuna di vederlo. D’altronde in finlandese e in tedesco esistono impronunciabili parole che racconta della nostalgia verso posti in cui non si è mai stati prima. Faccio un esempio, un calciatore di cui io stesso non ho ricordi sul campo: “Best era troppo assetato di volo per non bruciarsi, lui ala, le ali. Che noi chiamiamo questa spinta libertà o autodistruzione ha poca importanza”. Ecco, questa roba qui è kaukokaipuu o fernweh, la nostalgia e il dolore per la lontananza da un luogo mai visto, ma che sentiamo emozionalmente vicino.

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