Le stanze di Lingiardi che abbracciano lo spazio, la memoria e il tovagliolo

Il corpo è il protagonista assoluto del nuovo libro dello psichiatra e psicanalista, che lo racconta attraverso rimandi pittorici, descrivendolo quale strumento di trasporto e di lotta. Talvolta sovraesposto e ostentato, ma anche rinchiuso in carcere per lo scandalo che riesce a generare

A undici anni si voleva tingere i capelli di blu. A quattordici l’ho accompagnata a farsi il piercing all’ombelico, ha capito subito l’errore perché a momenti svenivo e infatti quando a sedici l’ho portata dalla ginecologa giustamente mi ha detto: tu stai fuori. Il corpo di mia figlia, che era anche un po’ mio, da un po’ è solo suo. E’ talmente suo che perché fosse chiaro lo ha trasferito dall’altra parte del mondo. Dai primi di agosto vive e studia in Illinois. Ora il suo lato preferito del divano è occupato dal gatto, la sua stanza è vuota, il suo pranzo in tavola vorrei dire che non lo preparo più, ma in realtà semplicemente se lo mangia suo fratello. Con chi mi chiede di questa distanza ostento sicurezza, in fondo torna presto, per fortuna c’è whastapp, non hai idea al giorno d’oggi come sia facile, videochiamate che accorciano le distanze e altre sciocchezze così. In realtà a me manca il suo corpo, le sue gambe intrecciate alle mie mentre guardiamo una serie tv, il rumore della sua caviglia quando cammina, il suo modo di dormire assurdo, tutta storta, mi mancano pure i capelli che lasciava nel lavandino e mi facevano arrabbiare, ma vorrei precisare che riprenderò ad arrabbiarmi se li lascia quando torna. Mi sono rammollita, ma fino a un certo punto.



Poiché mi manca sono andata in libreria, smarrita, in cerca di risposte. “Corpo, umano” (così, con la virgola in mezzo) è il titolo di un bellissimo libro scritto dallo psichiatra, psicanalista e scrittore Vittorio Lingiardi per Einaudi. E’ concepito in tre stanze: Il corpo ricordato, Il corpo dettagliato, Il corpo ritrovato. “Umiliato, sedotto, contraffatto, idolatrato, sprecato, il corpo rimane il nostro enigma” scrive Lingiardi che in un’epoca di smaterializzazione tecnologica, ma anche di sovraesposizione e ostentazione dei corpi, dei selfie, delle immagini, mette al centro la carne anche per dirci che “le smart bombs delle nuove guerre, per niente intelligenti, continuano a ricordarci che i corpi sono veri: squartati e mitragliati, perdono sangue e muoiono”. Oppure vengono incarcerati. Come il corpo della studentessa iraniana Ahoo Daryaei, che cammina nuda al campus universitario di Teheran a fianco a donne velate. Il suo corpo nudo riempie lo spazio, come una dichiarazione di intenti. Il suo corpo è uno scandalo. Per questo è stata fermata e portata via dalla polizia morale con la solita scusa: sei pazza.



“[I] tuoi geni” scrive la poetessa Szymborska citata da Lingiardi “hanno un passato politico, | la tua pelle una sfumatura politica, | i tuoi occhi un aspetto politico”. Un po’ strumento di lotta, un po’ mezzo di trasporto, un po’ tramite dei sensi, Lingiardi racconta il corpo attraverso rimandi pittorici (da Caravaggio a Frida Kahlo), cinematografici (Marco Bellocchio) e letterari (da Ovidio a Virginia Wolf). Il nostro corpo – scrive – è anche la storia di chi ci ha preceduto: “Me ne ricordo ≪fisicamente≫ ogni volta che piego un tovagliolo come faceva mio padre o sbuccio un’arancia come faceva mia madre”. L’autore parte dal cuore e poi passa al seno, al fegato, al naso, all’utero, alla prostata, la pelle, gli occhi.

C’è il corpo della sessualità perché – insegnava Battiato – bisogna pur che il corpo esulti. C’è il corpo della malattia: “Ci portiamo addosso – dice Lingiardi – cicatrici, stenosi, chiodi, placche, intarsi. I corpi sono testi che tengono la traccia del passato”. A volte anche del futuro, quando siamo abitate dal corpo di un altro essere umano per nove mesi. E poi quel corpo esce, a un anno inizia a camminare, poi ad allontanarsi, a chiudere la porta della camera, fino a che un giorno va dall’altra parte del mondo. Come mi batte forte il tuo cuore in Illinois.

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