La manovra molto pericolosa di Meloni

Il Mef usa per coprire la legge di Bilancio l’effetto espansivo della stessa manovra, rompendo la prassi consolidata e prudenziale. Si crea il rischio di un buco, ma soprattutto un precedente pericoloso. Le critiche di Bankitalia e Upb

Spesa semper certa est: copertura numquam. E se quello di indicare coperture precarie è un brutto vizio dell’opposizione, diventa un peccato mortale quando commesso dal governo. Pur in un quadro di generale prudenza sui conti pubblici, la legge di Bilancio trova circa 1,6 miliardi di euro all’anno per il triennio 2025-27 scommettendo sugli effetti espansivi della manovra. Una pratica che la Banca d’Italia ha definito “contraria alla prassi” e l’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb) “non usuale”.

Le misure di politica economica previste – dice il Mef e certifica la Ragioneria generale dello stato (Rgs) – avranno l’effetto di stimolare la crescita, quindi l’erario potrà contare su un gettito aggiuntivo. È possibile che la premessa sia giusta: ma da lì a quantificarne gli effetti, cioè a stimare il moltiplicatore della politica economica del governo, ce ne passa. Tant’è che la Banca d’Italia e l’Upb hanno rilevato l’anomalia in audizione. “Contrariamente alla prassi – nota Palazzo Koch – la manovra include tra le fonti di copertura le maggiori entrate che dovrebbero derivare dal miglioramento economico conseguente all’espansione di bilancio rispetto alla legislazione vigente”. Mentre l’Upb sottolinea che “sono considerati ai fini della copertura gli effetti della retroazione fiscale, in controtendenza rispetto alla prassi precedente che per prudenza non contabilizzava tali impatti”.

Nell’ultimo decennio si registrano solo due precedenti: la legge di Bilancio per il 2017 (governo Renzi) e quella per il 2021 (governo Conte II), ma in quest’ultimo caso la deviazione dalla prassi è giustificata dall’eccezionalità del crollo pandemico del pil nel 2020 e dal conseguente e facilmente prevedibile rimbalzo nel 2021. Va riconosciuto che Bankitalia e Upb, pur segnalando la novità, non la enfatizzano, probabilmente perché il valore è contenuto.

Tuttavia, ci sono due aspetti rilevanti: uno tecnico e uno politico. Quello tecnico riguarda il cambio di passo rispetto al passato: di per sé può apparire secondario, se non fosse che arriva a valle di una serie di errori di previsione di Mef e Rgs. Il più clamoroso è ovviamente la quantificazione del Superbonus (con un errore di circa 150 miliardi), ma non è l’unico: il gettito dell’imposta sugli extraprofitti energetici è stato un terzo del previsto, mentre l’imposta sostitutiva del 3% sul maggiore valore attribuito ai beni rivalutati sarebbe costata decine di miliardi in più se non fosse stata corretta in extremis dal governo Draghi. Insomma: dopo una fase di eccessi, bisognerebbe ripristinare una condotta iper-prudenziale, non prendere una scorciatoia spericolata.

Ma proprio questo conduce alla questione politica. Finora, il ministro Giancarlo Giorgetti è stato il massimo interprete della prudenza, di cui si è fatto scudo per resistere alle richieste di spese folli provenienti da maggioranza e opposizione. Per questa impostazione cauta, si è ritrovato con entrate sopra le aspettative. È dunque curioso che ora, per chiudere la manovra, introduca una prassi del genere. Non tanto perché tirare troppo la coperta può strapparla, producendo un buco che sarebbe comunque limitato. Ma perché può diventare un pericoloso precedente. E questo rischio richiede tanta più attenzione se si considerano le vicissitudini che hanno travolto la stessa Rgs, responsabile ultima e insindacabile della quantificazione dei saldi di bilancio e della “bollinatura” delle norme di spesa.

L’ex ragioniere, Biagio Mazzotta, è stato promosso e rimosso proprio per i suoi colossali errori di stima (per indurlo ad abbandonare la poltrona è stato necessario spalancargli le porte della presidenza di Fincantieri). Al suo posto, Giorgetti ha nominato Daria Perrotta, ex capa del suo ufficio legislativo. Perrotta è persona seria e competente, ma il suo precedente ruolo ha alimentato i sospetti che potesse difettare della necessaria indipendenza. La scelta di accogliere, nell’ambito della manovra, una copertura pericolante li ravviva.

Entrambi dunque, Giorgetti e Perrotta, dovrebbero chiarire se si tratta di un caso eccezionale (e perché) o se invece è un nuovo standard, che può acuire la naturale tendenza della politica di proporre spese che “si ripagano da sé”. Uno sgarro di 1,6 miliardi di euro può apparire minore, specie se confrontato agli svarioni del passato. Ma il problema è se questa nuova prassi indica un cambiamento rispetto all’approccio prudenziale sui conti pubblici, che finora è stato la stella polare del Mef. È un azzardo che per un paese fortemente indebitato come l’Italia potrebbe rivelarsi molto costoso.

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