Il concordato non è un dramma ma contro l’evasione serve uno stato più snello e tasse più basse

La misura è utile, ma resta la sensazione che l’adozione massiccia di questi strumenti basati su modelli statistici e presunzioni sia legata a una difficoltà ormai cronica dell’Italia di controllare e individuare in maniera seria chi evade

Il concordato preventivo biennale è stata la grande novità della riforma fiscale del governo Meloni. Si tratta di un meccanismo grazie al quale chi produce reddito d’impresa o di lavoro autonomo può accordarsi con il fisco concordando per il biennio 2024-2025 il proprio reddito e pagando così le imposte, in parte anche con una aliquota agevolata, su questo imponibile concordato. Nato come strumento utile a normalizzare i rapporti con i contribuenti, ridurre i costi amministrativi legati ai controlli e rendere stabile il gettito per due anni, si è via via impropriamente trasformato in uno strumento per il recupero dell’evasione. Il reddito proposto dal fisco per la definizione del proprio carico fiscale viene calcolato applicando un modello statistico che è utilizzato già da qualche anno per assegnare un voto di affidabilità fiscale. Sulla base di variabili specifiche di natura economica il modello restituisce a ciascun contribuente una pagella fiscale con un voto che va da 1 a 10 a seconda della minore o maggiore affidabilità fiscale del contribuente. Chi ha un voto di 1 e decide di aderire al concordato paga come chi si è sempre comportato bene e prende 10 e quindi tutti coloro che ricevono punteggi bassi sarebbero evasori certi che, pagando la cifra associata ai punteggi più elevati, fanno così emergere imponibile non dichiarato. Una volta applicata questa logica e inquadrato il concordato preventivo come uno strumento di lotta all’evasione, il governo si è affrettato a renderlo più appetibile aggiungendo la possibilità di pagare alcune somme aggiuntive per gli anni dal 2018 al 2022 mettendosi al riparo da alcune forme di accertamento specifico.

Nei giorni finali della scelta, il Mef ha addirittura organizzato una campagna di comunicazione specifica in cui all’evasore che fa la bella vita tra aragoste e tartufi si ricorda che se non aderisce al concordato verrà beccato sicuramente grazie ai maggiori controlli. Le adesioni al concordato si sono chiuse al 31 ottobre con un gettito pari a 1,3 miliardi di euro, al di sotto delle aspettative del governo che sperava di incassare almeno 2 miliardi per finanziare un taglio di aliquota Irpef che si fa fatica a rendere strutturale. Il governo ha quindi ritenuto opportuno riaprire i termini ma resta qualche dubbio sulla possibilità che le adesioni crescano in maniera esponenziale perché resta una ambiguità di fondo dello strumento che non pare adatto a fare emergere redditi evasi e che comunque si candida a restare un metodo residuale per i rapporti fiscali. Non tutti i contribuenti che aderiscono sono evasori. Alcuni possono avere convenienza in quanto il reddito proposto dal modello statistico è inferiore a quanto prevedibile nel 2024 e nel 2025. Per tutti questi contribuenti il gettito incassato dal governo non può essere considerato in alcun modo un recupero di evasione ma anzi un costo in termini di minore gettito legato alla tassazione di un reddito inferiore a quello che effettivamente sarebbe stato dichiarato.

I benefici dell’adesione al concordato in termini di controlli non sono paragonabili a quelli di un condono. Il contribuente viene messo al riparo dagli accertamenti di natura presuntiva e, sebbene il governo abbia più volte dichiarato che chi aderisce al concordato non sarà incluso nelle liste dei controlli annuali, si resta comunque esposti al rischio di essere controllati e puniti in caso di evasione.


Il reddito proposto è determinato con modelli statistici che il contribuente guarda sempre con sospetto e i consulenti non sono in grado di comprendere appieno. Questo aumenta il grado di sfiducia nei confronti dello strumento da parte di chi non evade ma gradirebbe scommettere su minori tasse e maggiore serenità.

Lo strumento proposto è certamente utile ed è davvero un bene che sia stato introdotto. Resta però la sensazione che, negli ultimi anni, l’adozione massiccia di questi strumenti basati su modelli statistici e presunzioni sia legata a una difficoltà ormai cronica dello stato italiano di controllare e individuare in maniera seria chi evade. Diceva Churchill che le tasse sono un male e, per quanto necessarie, meno ce ne sono e meglio è. Ben venga quindi il concordato preventivo solo in un’ottica di maggiore semplificazione e certezza, ma la via maestra contro l’evasione resta uno stato snello con una pressione fiscale minima che consenta a molti di pagare ciò che considerano giusto e allo stato di controllare e colpire chi evade con regolarità.

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