I paradossi del devastante Trump 2

Colui che parlava del pet-cannibalismo dei neri di Haiti è stato eletto da massicce ondate elettorali di latinos, black e altri immigrati, affermandosi nel voto popolare e tra le minoranze “oppresse”. La democrazia liberale alla prova delle mitologie ribelliste e populiste

I paradossi del Trump 2 si conoscono. Un movimento devastante per la democrazia liberale della tradizione americana prevale contro quella forza del sistema, garantismo e tolleranza, che è anche la sua debolezza quando le mitologie ribelliste e populiste mettono in discussione l’establishment che si rivela impotente. Se uno incita alla rivolta del 6 gennaio, la protegge e difende fino alla promessa di grazia per gli assalitori cornuti del Campidoglio, e non paga alcun dazio nonostante sia stato smascherato da ogni parte, compresa la propria, la sua posizione di forza emerge chiara e forte. Vince sui progressisti inquinati dal wokismo, vince sui residui della tradizione conservatrice, sequestrando a beneficio del suo movimento e del suo culto personale il Partito repubblicano. Il titolare della rappresentanza testosteronica maschile prende il 46 per cento del voto femminile, mentre il maschio bianco risulta l’unico collante che ha tenuto della sua avversaria democratica, donna e coloured. Lo spregiatore della porosità dei confini e il fabulatore del pet-cannibalismo dei neri di Haiti è eletto da massicce ondate elettorali di latinos, black e altri immigrati. Nel paese classico dell’aborto come diritto, del movimento lgbtqi+, delle politiche gender affirmative, dei campus scatenati pro Palestina, l’opposto di tutto questo si afferma anche nel voto popolare e tra le minoranze “oppresse”, arabo-americani compresi. L’amore protezionista per i dazi sulle importazioni può costare caro all’economia americana, in particolare al potere d’acquisto, ai salari e agli investimenti.

Ma trionfa in una coalizione di interessi popolari e di business che non riconosce il rischio (su questo piano, che è quello del pragmatismo negoziale del big business commerciale, i pareri legittimamente divergono). Infine, fuori dal paradosso e dalle interpretazioni sofistiche del risultato elettorale. L’America di Biden è stata sfidata da Putin, con una politica e una guerra d’aggressione, ha reagito ma subendo le linee rosse dell’autocrate di Mosca, alleato con la Cina e la Corea del nord e l’Iran in crociata contro Israele, e ora l’America di Trump è in condizione di firmare sulla testa degli ucraini e degli europei un “patto di non aggressione” a cose fatte, a aggressione consumata e con i suoi effetti ratificati, siglando una presunta e provvisoria pace in cambio di una sicura e permanente ingiustizia, ma soprattutto offrendo a Putin, calcolo strategico elementare, e forse troppo elementare, una via d’uscita dall’abbraccio soffocante della Cina e degli altri alleati, una riammissione nel circuito internazionale ordinario attraverso la ripresa dei negoziati sul nucleare, e la fine delle sanzioni. “Patto di non aggressione” è formula ambigua, fa di Trump ciò che non è, un nuovo Hitler fondatore di un Reich espansionista, lanciato nel suo spazio vitale o Lebensraum, e di Putin uno Stalin ancora da verificare nonostante i monumenti in ricordo del meraviglioso georgiano. E molto è ancora da vedere. Comunque, se si pensi al destino dell’Ucraina e dell’Europa: troppa grazia, sant’Antonio.

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  • Giuliano Ferrara
    Fondatore
  • “Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.

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