I due leader s’incontrano all’Apec di Lima, in Perù. Il presidente cinese forse rimpiangerà quello uscente americano, in vista della nuova Amministrazione Trump. La diplomazia di Sullivan e lo stallo nei colloqui sugli ostaggi
Domani il presidente americano uscente Joe Biden e il leader cinese Xi Jinping si incontreranno a Lima, in Perù, a margine del vertice dell’Asia-Pacific Economic Cooperation, abbreviato in Apec, e sarà il loro terzo incontro faccia a faccia, nonché l’ultimo con Biden presidente. L’altro ieri, durante una conferenza stampa, il consigliere per la Sicurezza nazionale Jake Sullivan ha detto che, almeno per Biden, non sarà soltanto un ultimo incontro “di commiato”, ma l’occasione per rafforzare a un certo livello il dialogo fra le prime due economie del mondo iniziato due anni fa al G20 di Bali e poi proseguito l’anno scorso col vertice di San Francisco. Per Sullivan i due leader parleranno di lotta al commercio illegale di fentanyl, d’intelligenza artificiale, ma la posta in gioco sarà più alta e probabilmente Biden cercherà di ottenere da Xi qualcosa di concreto prima dell’inizio di una nuova stagione di confronto serrato fra America e Cina.
L’Amministrazione Trump è per ora composta solo da falchi anticinesi, compreso il segretario al Tesoro designato, Robert Lighthizer, l’uomo dei dazi che dovrà attuare le promesse del tycoon di imporre una tassa del 60 per cento su tutte le importazioni dalla Repubblica popolare cinese. Sullivan ha detto che Biden non porterà alcun messaggio per Xi da parte del presidente eletto Donald Trump, e ha sottolineato la necessità di mantenere “stabilità, chiarezza e prevedibilità” nei prossimi tre mesi, perché è nelle transizioni che “gli avversari possono vedere delle opportunità”. Sullivan è stato in questi anni, e soprattutto di recente, l’uomo del dialogo informale con Pechino, e parte di quello che viene considerato tutto sommato un successo diplomatico di Biden: è riuscito a proseguire la politica dei dazi del primo mandato di Trump ma con toni meno belligeranti, in un sistema più chirurgico, e ha tentato di riattivare, spesso riuscendoci, alcuni colloqui strategici fra Washington e Pechino, sul traffico di droga, sull’intelligenza artificiale applicata agli armamenti e sul cambiamento climatico, ma anche a livelli di massima importanza, come per esempio la riattivazione dei colloqui militari che erano sospesi da anni.
Al di là della competizione commerciale, di quella economica, della ristrutturazione delle catene di approvvigionamento per “non essere ostaggi di nessuno”, come ha detto lo stesso Sullivan qualche settimana fa, resta solo un argomento sul quale Biden potrebbe cercare di ottenere un ultimo successo durante il suo ultimo colloquio con Xi Jinping, e riguarda la cosiddetta “diplomazia degli ostaggi”. A metà settembre l’Amministrazione Biden ha ottenuto il rilascio di David Lin, cittadino americano di 68 anni, pastore cristiano, imprigionato in Cina da 16 anni e condannato all’ergastolo per aver tentato di costruire una chiesa, secondo l’accusa, senza averne l’autorizzazione. Washington aveva scambiato il pastore Lin rilasciando un cittadino cinese, il cui nome non è stato mai rivelato. Biden aveva sollevato più volte il problema degli americani che secondo il dipartimento di stato sarebbero “detenuti ingiustamente” dalla Repubblica popolare. Da tempo la Cina copia il modello russo di arresti e detenzioni arbitrarie, tanto che il dipartimento di stato ha aumentato il livello di rischio per i viaggi nel paese, come del resto hanno fatto anche Giappone e Taiwan. Dopo la liberazione di David Lin, molti media e organizzazioni umanitarie erano tornati a parlare di Mark Swidan e Kai Li, altri due americani detenuti per motivi politici che l’Amministrazione Biden in questi mesi avrebbe cercato di liberare. Anche perché riportare gli americani a casa era stata una delle priorità del presidente uscente, autore di uno dei più grandi scambi di prigionieri con la Russia il 2 agosto scorso, con 26 persone coinvolte. Ma secondo diverse fonti Washington non è mai riuscita a instaurare un dialogo ad alto livello con Pechino su questo fronte, nonostante sia Biden in persona con Xi, sia Sullivan abbiano più volte sollevato il problema con i funzionari che hanno incontrato in questi anni. Secondo la Dui Hua Foundation ci sarebbero circa duecento americani nelle carceri cinesi e almeno trenta persone avrebbero il divieto d’espatrio.