“Non si spenderà un soldo”. Così il premier Conte lanciò il 110 per cento, costato poi 220 miliardi di euro. La Mmt, gli errori dei tecnici, i tentativi di Draghi, la stretta di Giorgetti. Un libro sul più grande disastro di finanza pubblica: ecco un estratto
La più grande politica industriale del paese, il più costoso sussidio mai visto nella storia della Repubblica italiana, il più generoso credito d’imposta del mondo, viene annunciato con pochissime parole in una conferenza stampa del 13 maggio 2020 dal Presidente del Consiglio Giuseppe Conte: “Nel settore edilizio introdurremo un Superbonus per la casa: tutti quanti potranno ristrutturare, per dare una boccata d’ossigeno al mondo dell’edilizia, le loro abitazioni per renderle più green. Non si spenderà un soldo per queste ristrutturazioni”. Una decina di secondi in un intervento lungo e articolato per presentare il decreto Rilancio, il provvedimento che sancisce l’avvio della “fase due” della gestione della pandemia Covid-19. “Non si spenderà un soldo” dice il premier, anticipando la formula “gratuitamente” che poi ripeterà come un mantra nelle piazze italiane durante la campagna elettorale del 2022. Quel “non si spenderà un soldo” è in realtà costato in tre anni circa 160 miliardi per il solo Superbonus e circa 220 miliardi considerando anche gli altri bonus edilizi coinvolti nella nuova misura, producendo un buco di bilancio senza precedenti.
All’epoca nessuno, né tra i proponenti né all’opposizione e neppure più in generale nell’opinione pubblica, si rende realmente conto dell’impatto devastante che questa misura avrà. Eppure proprio in quel momento viene avviato un meccanismo incontrollato e inarrestabile di spesa che caratterizzerà più di ogni altro provvedimento la politica economica del paese nei tre anni successivi e condizionerà pesantemente quella dei dieci anni seguenti. (…)
Ma perché la spesa aumenta in maniera incontrollata? Tutto ha a che vedere con le caratteristiche genetiche del Superbonus. Ormai è difficile trovare qualcuno che lo difenda, ma nel 2020 è praticamente impossibile trovarne qualcuno che lo critichi. La più grande politica industriale, nonché la più grande espansione fiscale degli ultimi decenni, non è il frutto del lavoro né del ministro dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli (M5s), né del ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri (Pd). In realtà di nessun ministro. A inventare il Superbonus è una figura apparentemente di secondo piano del governo: Riccardo Fraccaro, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio. Fraccaro è un militante del M5s di Trento, ma anche un attivista che a partire dal 2015 organizzava nel capoluogo trentino seminari sulla cosiddetta Modern Monetary Theory (Mmt), impegno che lo porta a conoscere Warren Mosler, un imprenditore e finanziere americano che ne è considerato il padre. Se nel 2019 la Ragioneria dello Stato – all’epoca guidata da Daniele Franco – mostrò grande cautela lasciando le teorie della Mmt sull’output gap fuori dalla relazione tecnica per valutare le coperture del Reddito di cittadinanza, arrivando a scontrarsi duramente con Palazzo Chigi, nel 2020 – guidata da Biagio Mazzotta – ha completamente accolto i presupposti dei teorici della Mmt nella stima dei costi per il Superbonus. I due differenti approcci hanno comportato, per il bilancio pubblico, una notevole differenza. Di centinaia di miliardi.
Quando viene proposta, il ministro dell’Economia Gualtieri è contrario alle due più evidenti storture della misura: un’agevolazione addirittura superiore al costo sostenuto e la cessione illimitata del credito che, a tutti gli effetti, ne fa una moneta fiscale emessa dal Tesoro. Entrambe queste caratteristiche incontrano anche le obiezioni dei tecnici del Mef e della Ragioneria dello stato. Ma di fronte alle insistenze del premier Conte che, dopo il Rdc nel suo primo esecutivo con la Lega, cerca un nuovo sussidio-bandiera, la fragile diga del Mef a protezione dei conti pubblici crolla: prima cede il braccio politico, rappresentato da Gualtieri, e subito dopo quello tecnico, rappresentato dal Ragioniere generale Mazzotta. La norma passa così come ideata dagli economisti Mmt, formulata da Fraccaro e approvata da Conte: con un bonus antieconomico, la cessione illimitata del credito, senza un monitoraggio né un tetto alla spesa. D’altronde il paese è in piena recessione, le regole fiscali europee sono saltate, la Bce a marzo 2020 aveva avviato un Programma di acquisto di titoli per l’emergenza pandemica (Pepp) da 1.850 miliardi di euro e l’idea che serva un forte impulso fiscale per far ripartire l’economia è largamente condivisa.
Inizialmente, i bonus edilizi non erano considerati un pericolo neppure dal nuovo governo di Mario Draghi. Anzi, all’epoca il problema principale viene ritenuto l’eccesso di burocrazia che non consente al “bazooka” del M5s di esprimere tutto il suo potenziale. Tra decreti attuativi, regolamenti e interpretazioni varie, all’inizio del 2021 il Superbonus praticamente non era ancora partito. E così, almeno nella prima metà dell’anno, tutti gli interventi del governo sono per ampliare e agevolare l’uso dei crediti edilizi. (…) A inizio ottobre, dopo la presentazione della Nadef – il documento che anticipa il perimetro finanziario della legge di Bilancio – il ministro dell’Economia cerca di frenare le pressioni parlamentari che puntano all’estensione del credito fiscale, peraltro annunciata da Draghi ad aprile. “E’ uno strumento molto costoso – dice il ministro dell’Economia Daniele Franco in audizione al Senato –. Se lo stato paga integralmente, o anche di più, il valore della spesa e abbiamo 30 milioni di unità immobiliari, l’effetto sui conti pubblici è stratosferico. Tenendo a mente che il settore non può crescere a dismisura, perché rischiamo di creare una bolla”. Il messaggio al Parlamento è che un sussidio al 110 per cento, con cessione del credito, “non è sostenibile alla lunga”. In realtà, per come è scriteriato, neppure alla corta. Dopo un mese, il 10 novembre 2021, il governo è costretto ad approvare in tutta fretta un decreto “Antifrodi” per arrestare le truffe prodotte dal decreto Rilancio sui bonus edilizi. (…)
Nonostante la lezione il decreto Antifrodi, anziché essere accolto con favore, viene visto dai partiti politici come una sorta di sabotaggio del Superbonus, un mezzo per evitarne il prolungamento. Anche perché già da qualche settimana, il confronto nella maggioranza si era fatto aspro. Poche settimane prima, nella legge di Bilancio presentata in Consiglio dei ministri a fine ottobre, Draghi e Franco avevano ad esempio deciso di bloccare definitivamente il Bonus facciate, la cui spesa era esplosa in maniera abnorme (26 miliardi nel biennio 2020-21, a fronte di una spesa preventivata e bollinata dalla Ragioneria dello stato di 5,9 miliardi) e che, inoltre, aveva originato la gran parte delle frodi miliardarie. Il bonus pensato dal ministro della Cultura Dario Franceschini era pessimo: generosissimo (90 per cento), senza tetti di spesa e senza controlli. Ma dopo il “matrimonio” con il Superbonus, che con il dl Rilancio estende a tutti i bonus edilizi la cessione illimitata del credito, diventa un disastro: un’emorragia di spesa e di truffe. (…)
Ciò che però sorprende del governo Draghi è l’enorme errore di previsione dei costi, soprattutto escludendo l’intenzionalità, date le ripetute prese di posizione pubbliche del premier e del ministro dell’Economia contro gli eccessi del 110 per cento. La relazione tecnica della legge di Bilancio stimava in 14 miliardi il costo della proroga al 2023, per un costo complessivo di 33,3 miliardi. Il consuntivo è stato di 160 miliardi. Una stima dei costi più prossima alla realtà avrebbe sicuramente impedito qualsiasi proroga, o indotto a intervenire sul “rubinetto” del Superbonus, per esempio, abbassandone l’aliquota o limitando ulteriormente la cedibilità dei crediti. (…)
Come ministro dell’Economia del nuovo governo, Giorgia Meloni sceglie Giancarlo Giorgetti, il vice di Matteo Salvini nella Lega. Pur essendo il numero due di un partito fortemente a sostegno del Superbonus, Giorgetti ha una posizione diversa. Da ministro dello Sviluppo economico, era stato l’unico esponente politico del governo Draghi a esporsi pubblicamente con critiche durissime contro il bonus edilizio in un’intervista al Corriere della sera. Il governo Meloni ottiene la fiducia il 26 ottobre e pochi giorni dopo, l’11 novembre, in uno dei suoi primi provvedimenti, è costretto a intervenire d’urgenza con una stretta sul Superbonus. Con il decreto il governo anticipa il previsto taglio dell’aliquota dal 110 al 90 per cento per le spese sostenute nel 2023 per i condomini e introduce la possibilità di accedere al bonus, anche per il 2024, alle case unifamiliari a condizione che si tratti di prima casa e che il reddito del richiedente sia inferiore a 15 mila euro l’anno (in base al quoziente familiare). Il 110 per cento continua, però, a essere applicato fino al 31 marzo 2023 per le abitazioni unifamiliari che abbiano completato il 30 per cento dei lavori entro il 30 settembre 2022. Questa direzione viene sostanzialmente confermata con la legge di Bilancio, approvata un mese dopo. Ma nonostante le parole decise, come accaduto già ai ministri dell’Economia prima di Giorgetti, i partiti e il Parlamento riescono a far inserire nella normativa diverse eccezioni che, di fatto, continuano ad alimentare un consistente flusso di crediti al 110 per cento anche nel 2023.
Un mesetto dopo l’approvazione della legge di Bilancio, il direttore generale del Dipartimento Finanze del Mef, Giovanni Spalletta, espone in Parlamento un quadro allarmante. Secondo le stime del ministero, la previsione della spesa dei bonus edilizi è stata alzata a 110 miliardi di euro: 61 miliardi per il Superbonus, 19 miliardi per il Bonus facciate, 30 miliardi per gli altri bonus edilizi. Ma ancora più impressionante è lo scostamento della spesa rispetto alle previsioni – circa 38 miliardi – attribuibile al Superbonus (che all’epoca aveva sforato di circa 25 miliardi) e al Bonus facciate (13 miliardi extra). In maniera un po’ paradossale, lo scossone arriva poco dopo, scatenato da una decisione di Eurostat, che non ha un impatto sostanziale ma solo tecnico: la definizione contabile dei crediti d’imposta. A differenza dei precedenti Ecobonus che potevano essere portati solo in detrazione e potevano essere compensati con l’Irpef dovuta, il tax credit introdotto con il dl Rilancio avevano caratteristiche completamente diverse. La decisione di Eurostat e la spesa fuori controllo costringono il governo Meloni a un nuovo intervento d’urgenza. Dopo il decreto si levano le proteste dei costruttori, delle associazioni di categoria e, soprattutto, dei partiti. Così parte un pressing per introdurre scappatoie ed eccezioni alla norma per tutelare le imprese e i beneficiari che non avevano venduto i crediti o concluso i lavori. Il decreto viene corretto con delle deroghe. I crediti fiscali continuano a scorrere copiosi. Così dopo quattro mesi, nella Nadef pubblicata a settembre 2023, il governo rivede ancora una volta al rialzo il costo del Superbonus per l’anno in corso dallo 0,7 all’1,8 per cento del pil: 22 miliardi in più del previsto in una manciata di mesi. (…)
A un certo punto, in maniera del tutto incomprensibile, quando la norma ha manifestato fino alle estreme conseguenze i suoi peggiori difetti genetici, il Pd – che ha sempre appoggiato il provvedimento, ma in maniera meno vocale degli altri – ne diventa il principale sostenitore. Con argomenti e numeri che nemmeno Giuseppe Conte, che pure diffonde dati falsi sull’impatto su occupazione e pil, si sogna di adoperare. (…)
Il 1° marzo 2024, l’Istat pubblica la sua periodica revisione dei conti pubblici in cui certifica che nell’anno appena concluso il deficit di bilancio è stato 1,9 punti percentuali superiore alle previsioni del governo: non il 5,3 per cento, ma il 7,2 per cento. E la ragione esclusiva è l’esplosione del Superbonus. In pratica, a fianco a una legge di Bilancio da circa 30 miliardi presentata dal governo e approvata dal Parlamento, ce n’è stata un’altra occulta e senza coperture dal valore doppio. Si tratta della più grande correzione dei conti pubblici da parte di un istituto di statistica nazionale nella storia europea, se si esclude l’enorme falsificazione del bilancio della Grecia.
Dopo la pubblicazione degli sconcertanti dati dell’Istat, il governo è costretto a intervenire con un nuovo decreto, il 26 marzo 2024. “Sono misure tese a chiudere definitivamente l’eccessiva generosità di una misura che ha causato gravi problemi alla finanza pubblica e i cui effetti potremo contabilizzare tra pochi giorni, quando si chiuderà la finestra per caricare tutti i lavori eseguiti entro il dicembre 2023”, dice il ministro dell’Economia. C’è poi un aspetto davvero surreale: il governo introduce, per la prima volta e per i nuovi casi, una comunicazione preventiva dei lavori in modo da consentire di monitorare della spesa: dopo tre anni in cui il Mef ha fatto i conti al buio, senza avere la minima idea di quanta “moneta fiscale” venisse stampata, viene introdotto il monitoraggio proprio mentre si blocca definitivamente la cessione del credito. In sostanza, il governo chiude la stalla dopo che centinaia di miliardi di buoi sono scappati e, solo a quel punto, installa un sistema di videosorveglianza. Proprio nei giorni in cui sta preparando il Def 2024, il Mef non è in grado di sapere cos’è successo l’anno precedente. Continua a rifare i conti, ma il passato continua a cambiare in peggio. (…)
L’ultimo atto legislativo significativo in questa vicenda è un emendamento del governo nella conversione in legge del dl 39/2024 di marzo, quello che chiude il Superbonus. La nuova norma impone a partire dall’anno in corso l’obbligo di detraibilità dei crediti edilizi in 10 anni anziché in 4 anni. Ma come si chiama quell’operazione in cui un debitore, non potendo o non volendo onorare i propri impegni, comunica unilateralmente al creditore di allungare la scadenza dei pagamenti? E’, a tutti gli effetti, una ristrutturazione del debito. In maniera un po’ più brutale, si può dire che l’Italia ha fatto default sul Superbonus.