Così la mobilitazione promossa dai sindacati viene usata dalle associazioni palestinesi come una “lotta per arrivare a un obiettivo comune con i lavoratori: boicottare la macchina bellica e fermare il genocidio”. Il tutto nella data in cui l’Onu celebra la “Giornata internazionale della solidarietà con il popolo palestinese”
Non sappiamo se sia una pura casualità, o se dietro la scelta di Cgil e Uil di indire lo sciopero generale il 29 novembre ci sia del genio. Fatto sta che aver optato per quella data farà sì che le rivendicazioni sui pochi soldi investiti dal governo in sanità, sulla necessità di rivedere il cuneo fiscale, alzare le pensioni minime, possano tutte finire in secondo piano. Perché? Il 29 novembre si celebra, come ogni anno dal 1977, la Giornata internazionale della solidarietà con il popolo palestinese istituita dall’Onu. Ragion per cui lo sciopero l’hanno già rilanciato le associazioni palestinesi, che scendono in piazza “contro il sionismo”.
Il 29 novembre è un venerdì, e si sa quanto, soprattutto negli ultimi tempi, Cgil e Uil abbiano preso ad apprezzare il fascino del weekend lungo. Per questo Maurizio Landini e Pierpaolo Bombardieri avevano cerchiato di rosso quella data sul calendario, ancor prima dell’incontro con il governo a Palazzo Chigi della scorsa settimana. Usciti dal confronto con l’esecutivo, hanno confermato la mobilitazione perché, nonostante i tentativi di mediazione, “questa resta una pessima legge di Bilancio”, per dirla con le parole del segretario della Cgil. Solo che, per la sovrapposizione con la ricorrenza delle Nazioni Unite, i Giovani palestinesi, così come l’Unione democratica arabo palestinese, hanno dato allo sciopero tutto un altro sapore. Un’altra veste.
Secondo le due associazioni lo sciopero generale del 29 novembre serve a “fermare il genocidio in Palestina e l’aggressione sionista in Libano”. Ma perché manifestare seguendo una formula che è propria dei sindacati, che in teoria scendono in piazza per tutt’altre ragioni, legate alla legge di Bilancio del governo? Spiegano ancora le due sigle che “come palestinesi abbiamo sempre rimarcato il valore della resistenza del nostro popolo che, oltre a fronteggiare l’entità coloniale israeliana, deve combattere anche l’imperialismo occidentale al completo”. Per questo “riteniamo fondamentale sostenere la lotta della classe lavoratrice in Italia, poiché lo stesso stato italiano, che supporta materialmente ed economicamente lo stato sionista, è il medesimo che opprime i lavoratori”. E’ la ragione per cui lotta sindacale e intifada dovrebbero marciare assieme: “Tenendo ben presenti le affinità tra le due lotte e individuando come nemico comune questo governo, crediamo sia fondamentale creare un fronte unico di opposizione in cui lavoratori e lavoratrici, studenti e studentesse, lottino fianco a fianco verso un obiettivo comune: boicottare la macchina bellica e adoperarsi concretamente per fermare il genocidio che sta avvenendo in Palestina”. Il fronte, ovviamente, comprende i sindacati con cui si sceglie di scendere in piazza: “Facciamo appello a ogni sindacato e a tutti i lavoratori e le lavoratrici sensibili alla giustizia a fermare le attività nelle fabbriche, nei porti, nei magazzini e ovunque sia possibile. Dobbiamo unirci in un’azione collettiva fino a quando non si fermerà il genocidio di un popolo che chiede giustizia e libertà”. E pensare che Landini e Bombardieri, chiamando alla mobilitazione i loro iscritti, hanno puntato su tutt’altre parole d’ordine: rinnovi contrattuali, politiche industriali, lotta all’autonomia differenziata. Senza alcun riferimento alla situazione in medio oriente.
L’ulteriore elemento di confusione è che sempre quel giorno è in programma un ulteriore sciopero nazionale, indetto da Cub e Sgb, che nella piattaforma programmatica chiedono, tra i vari punti, lo stop all’invio di armi all’Ucraina, nonché sanzioni a “Israele per l’aggressione a Gaza e in Libano”. Nel caso dei Giovani palestinesi, peraltro, lo sciopero del 29 novembre farà da traino all’ennesima manifestazione di piazza “contro il genocidio”, in programma il giorno successivo a Roma. Quella che doveva essere una “prova di forza” nei confronti del governo Meloni perché i sindacati rivendicassero quantomeno un’opposizione politica (l’accusa mossa dalla Cisl, che non parteciperà allo sciopero), rischia quindi di trasformarsi in una lunga giornata di proclami che individuino nel “bellicismo” e nell’“entità sionista” un nemico comune per associazioni che giustificano il 7 ottobre e sigle sindacali. Tutto questo per combattere assieme “l’imperialismo occidentale”. Comunque vada: geniale.