Schlein chiede fondi per la Sanità ma dimentica i tagli del Pd

Così la sinistra dà buoni consigli a Meloni ora che non può più dare il cattivo esempio dai banchi del governo: se il servizio sanitario è sottofinanziato è soprattutto colpa sua

Il miglior modo per trovare i soldi per la sanità è, evidentemente, dall’opposizione. O forse la sinistra, come diceva il cantautore, dà buoni consigli a Meloni ora che non può più dare il cattivo esempio dai banchi del governo. Fatto sta che nelle conferenze stampa sulla manovra di Pd e M5s è un profluvio di soldi per la sanità. Sia Elly Schlein sia Giuseppe Conte vogliono riempire di miliardi il Ssn. “E’ una manovra di austerità – dice Schlein – di tagli alla sanità pubblica”. La segretaria del Pd sottolinea che la spesa sanitaria “arriverà al minimo storico, addirittura sotto al 6 per cento del pil”. Perciò, dice Schlein, le opposizioni hanno presentato un emendamento unitario per aumentare il Fondo sanitario di 5,5 miliardi per il 2025 rispetto al previsto, con risorse prese dai “sussidi ambientalmente dannosi” (Sad). Conte, quasi in simultanea, propone un “significativo aumento” della spesa sanitaria al 7 per cento del pil, da finanziare con una patrimoniale sullo 0,1 per cento più ricco. E’ chiaro che la proposta unitaria non è tale e il coordinamento delle opposizioni un po’ scoordinato. Le proposte sono diverse sia nei costi, perché portare la spesa sanitaria al 7 per cento del pil nel 2025 costa circa 15 miliardi (il triplo della proposta dem) sia nelle coperture, perché Sad e patrimoniale non sono la stessa cosa.

Ma non è neppure questa divergenza il problema principale. Sorprende, su un tema così importante, il pressappochismo con cui ne parla il Pd. Schlein dice che il governo Meloni porterà nel 2027 la spesa sanitaria sotto il 6 per cento del pil. Ma se si usa questo metro, il Pd non ne esce meglio. Nell’ultima Nadef del governo Draghi, il ministro della Salute Roberto Speranza – esponente di spicco del Pd – prevedeva una spesa che non solo scendeva in rapporto al pil, ma anche in valore assoluto: da 134 miliardi nel 2022 a 129,5 nel 2025. Con un calo della spesa in rapporto al pil dal 7,1 al 6,1 per cento, ma su un pil nominale 2025 che era previsto molto più basso: oltre 100 miliardi in meno (2.136 miliardi allora, 2.255 adesso). Ciò vuol dire che la spesa prevista da Speranza sarebbe stata, nel 2025, pari al 5,7 per cento del pil. Mentre quella prevista ora dal governo è al 6,3 per cento del pil.

C’è un’altra incoerenza. Nella conferenza stampa Schlein ha attaccato Meloni perché intenzionata ad alzare le accise. L’idea di Giorgetti, per rispettare una raccomandazione Ue sulla riduzione dei Sussidi ambientalmente dannosi (Sad), è di allineare la differenza di accisa tra gasolio e benzina, aumentando la prima e abbassando la seconda. Ma Schlein come propone di coprire i nuovi fondi per la sanità? Tagliando i Sad! Facendo, cioè, esattamente ciò di cui accusa Meloni. Questo, insomma, è il piano del Pd. Dopo che nei mesi scorsi Schlein aveva presentato una proposta per portare la spesa sanitaria al 7,5 per cento, bocciata per mancanza di coperture.

Su questo tema, però, il problema è più generale. Il ministero della Salute è stato governato dal 2013 al 2022 dal Pd, intramezzato da un anno di gestione del M5s (suo partito alleato) nel governo Conte. Se la sanità è sottofinanziata, la principale responsabilità è dei governi di centrosinistra. Dopo il Covid, senza Patto di stabilità e con ampia possibilità di spendere in deficit, c’era un consenso trasversale (anzi, una convinzione) sulla necessità di rimettere al posto il sistema sanitario che aveva mostrato tutte le sue criticità durante la pandemia. C’erano anche i fondi del Mes sanitario a disposizione, per indebitarsi con un tasso agevolato. Si è preferito, come politica industriale e scelta strategica per il paese, non spendere 37 miliardi del Mes per la sanità ma 220 miliardi di Superbonus e altri bonus per l’edilizia. I buoni consigli ora vanno anche bene, ma siccome sono rimasti i debiti del cattivo esempio, servirebbero almeno delle coperture credibili. Oltre a un po’ di autocritica.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali

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