Il sindaco di Bologna, in difficoltà per lo scontento cittadino, si concentra su questioni nazionali in uno scontro diretto con la premier Giorgia Meloni
Lo dicono dentro Azione e lo dicono, certo mormorando, persino nel Pd riformista. Toni e modi della polemica di Matteo Lepore – sindaco dem di Bologna – nascondono invero una strategia più ampia. O forse, più che una strategia, un malcelato affanno. Al punto che l’attacco diretto di Lepore all’esecutivo sarebbe, secondo alcuni esponenti della sua stessa maggioranza, la migliore difesa contro lo scontento dei cittadini sotto le Due Torri. E così questioni municipali si mischiano e si confondono con quelle nazionali. A una manciata di giorni dal voto in Emilia-Romagna. Ma andiamo con ordine.
Dopo gli scontri in piazza di sabato scorso, il sindaco di Bologna ha additato le “camicie nere” (i militanti di CasaPound) quali emissari del governo Meloni con una regia della Prefettura, quindi del Viminale. Meloni, a sua volta, ha ribattuto lunedì di non essere disposta a “collaborare” col primo cittadino del comune emiliano se l’accusa che le viene rivolta in pubblico si avviata sul neofascismo (“Mi dà della picchiatrice”).
Botte e risposte tra premier e sindaco che hanno destato l’attenzione – e la malizia – di emiliani e romagnoli. Tanto da non sfuggire, a molti, come la candidata di centrodestra alla presidenza delle Regione, la civica Elena Ugolini, non nomini quasi mai – durante i suoi comizi – l’avversario diretto Michele De Pascale, già sindaco dem di Ravenna, bensì Matteo Lepore. E cioè il sindaco di Bologna che è tuttavia alle prese con grane più faticose del fascismo. Con problemi persino più tangibili delle camicie nere in centro. Ed eccoci al punto.
“Città cantiere”, la chiamano, il capoluogo-cerniera tra Emilia e Romagna. La città che, tra la messa in sicurezza della Garisenda e i lavori per la realizzazione del tram, spossa i nervi degli automobilisti. In viale Repubblica l’ora di punta è una bolgia di auto, moto e biciclette; in via Stalingrado i lavori per il Tecnopolo soffocano la carreggiata; in pieno centro, poi, molte strade interdette al traffico, nel mese di settembre, hanno costretto le scuole alla settimana corta (sarà il sabato fascista?). Ed ecco quindi che fra “lavori in corso” e gestione dell’alluvione (fisiologicamente contestata dall’opposizione che l’ottobre scorso, a firma di tutti i consiglieri FdI, presentava un esposto alla Procura di Bologna) il malcontento dei cittadini spira e serpeggia sotto i portici.
Sicché il placido Lepore, assai legato alla segretaria del Pd Elly Schlein, se per un verso diventa il bersaglio facile di questa campagna elettorale (che è pur sempre regionale e non comunale, con la candidata Ugolini che punta a lui più che a De Pascale), per l’altro s’è fatto interprete d’una precisa strategia. “Emanare fumi antifascisti per nascondere la polvere sotto le camicie nere”, così raccontano a Bologna.
E dunque nascondere il malumore cittadino. Lo scontento che domenica e lunedì prossimi – giorni in cui si voterà per la presidenza della regione – potrà tradursi in risultati poco soddisfacenti per la città di Bologna.
E addirittura c’è chi s’addentra, allora, in speculazioni ulteriori. Come l’altro ieri. Quando, durante il comizio dei leader del centrodestra, con Giorgia Meloni videocollegata, in molti si davano per vinti ma non per sempre. Non in via definitiva. E spiegavano che l’obiettivo di Ugolini non è vincere (non si punta all’impossibile) ma saper perdere. Perdere bene per conquistare, nel 2026, la carica di sindaca bolognese ed espugnare la città che, fatta salva la clamorosa parentesi di Giorgio Guazzaloca, è da sempre il tesoretto della sinistra.
Dopotutto – speculazioni a parte – i numeri sono quello che sono. E, secondo l’ultima classifica del Sole 24 Ore, il sindaco Matteo Lepore ha perso 7 punti percentuali dal giorno della sua elezione nel 2021: tracollato alla 37esima posizione nella governance poll dei primi cittadini d’Italia in una sorta di saliscendi col ravennate Michele De Pascale. Che invece guadagna un punto e mezzo e risale al terzo posto.
E così assume forse un senso la strategia del fumo nero. Puntare a un avversario più grande (la premier), forse inesistente (il fascismo), per celare il malcontento dei cittadini. A partire dagli umarell.