L’agroalimentare made in Italy teme le misure protezionistiche di una nuova amministrazione a guida Trump, a partire dai dazi su formaggi e vino. “Abbiamo sollecitato il ministro, aspettiamo risposte”, ci dicono i rappresentanti di categoria
“Secondo voi sono più pericolosi 74 milioni di americani che scelgono democraticamente il loro presidente o un pugno di radical chic che pretendono di sceglierlo al loro posto? Da una parte il Popolo e dall’altra #LaSetta”. Lo ha scritto su X il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida all’indomani della vittoria di Donald Trump alle elezioni presidenziali statunitensi. Un commento che si somma a molti altri positivi da parte di altri membri del governo. Ma per i settori su cui il ministro della Sovranità alimentare vigila, il ritorno di Trump può rappresentare un problema, come spiegano al Foglio diversi rappresentanti delle associazioni di categoria.
Il problema sono ovviamente i dazi. Come già accaduto nell’ottobre 2019, quando Trump impose nuovi dazi ai paesi europei per circa 7,5 miliardi di dollari (poi congelati da Biden), anche con la nuova amministrazione si prospettano misure protezionistiche. “La preoccupazione che questi dazi possano tornare in auge è grossa”, spiega al Foglio Paolo Zanetti, presidente di Assolatte, che rappresenta le imprese del settore lattiero caseario italiano. “Il mercato americano è troppo importante per il nostro settore. Se non si riesce a trovare una soluzione a livello europeo, la diplomazia bilaterale si muova: il prezzo del latte mantiene l’intera filiera agricola italiana, che va tutelata”.
Il ministro è stato avvisato. “Abbiamo sollecitato Lollobrigida e gli abbiamo esposto il problema – dice invece Davide Vernocchi, presidente reggente di Confcooperative Fedagripesca, che rappresenta oltre il 20 per cento del made in Italy agroalimentare – ma al momento non abbiamo avuto risposte”. La richiesta è quella “di fare grandissima attenzione ai rapporti con gli Stati Uniti”, cercando di scongiurare lo scenario di un mercato americano chiuso dai dazi che vada a generare un eccesso di offerta da un’altra parte, con un conseguente ridimensionamento dei prezzi. “Quello agricolo viene spesso considerato l’agnello sacrificale di tutti gli altri settori, non ce lo possiamo più permettere”, dice, riconoscendo che finora le istanze del mondo agricolo sono state sempre molto ascoltate dalle parti del ministero di Lollobrigida. Per questo, aggiunge, “su questa partita ho sempre visto il ministro molto attento. Ho fiducia, ci sono troppi interessi in ballo”.
La preoccupazione dei dazi riguarda anche i produttori di vino. Il rapporto commerciale in questo settore tra Italia è Stati Uniti è particolarmente intenso e le associazioni di categoria hanno già portato il dossier al tavolo del ministero. “Stiamo avviando una serie di incontri istituzionali con alcuni dirigenti dei ministeri con cui abbiamo rapporti consolidati”, spiegano da Federvini, federazione che riunisce produttori, esportatori e importatori di varie fasce di alcolici. “Abbiamo portato il teme anche all’attenzione del ministro Lollobrigida, con cui c’è un dialogo aperto anche su altre tematiche”.
Sullo sfondo però, anche l’Unione europea assume un ruolo chiave nell’intricata matassa di tariffe potenzialmente pericolosa per l’agroalimentare italiano. Nel 2018, gli Stati Uniti hanno introdotto dazi per 6,4 miliardi di euro su acciaio e alluminio esportato dall’Ue, la quale in risposta, ha introdotto dazi di riequilibrio sulle esportazioni statunitensi di alcuni prodotti in Europa, tra cui whiskey e bourbon. Tariffe poi sospese nel 2022 dalla Commissione europea fino al 31 marzo 2025. “È una scadenza molto pericolosa” prosegue Federvini, che invita alla massima prudenza: “Se l’Unione europea farà decadere questa sospensione, potrebbe essere vissuta dalla nuova presidenza Usa come un atteggiamento ostile e di escalation”.
Nel 2019 l’impatto dei dazi americani per i produttori italiani fu doloroso. “È stata una partita molto pesante. Abbiamo subito danni da circa 100 milioni, divisi tra perdita di volumi e aumento dei costi per i dazi del 25 per cento, con vendite perse per circa 6.000 tonnellate in un solo anno”, segnala Zanetti in riferimento al settore lattiero caseario, che da allora ha accresciuto il suo peso sul mercato americano e nel 2024 mette a segno un’ulteriore crescita dell’11 per cento in volume. “Per alcuni formaggi come il parmigiano reggiano oggi siamo il primo esportatore”, aggiunge.
“I dazi di Trump colpirono da ottobre 2019 fino alla primavera 2021 i liquori italiani, con una perdita di circa il 40 per cento nel solo primo anno”, ricordano inoltre da Federvini. “All’epoca ci fu un allineamento a livello europeo di associazioni di categoria e di ogni stato membro nel richiamare la massima attenzione”. In quel caso, però, la diplomazia non riuscì a limitare i danni dei dazi americani: “Non eravamo preparati a quella battaglia. Speriamo che oggi si riesca a capire meglio quale atteggiamento adottare”, concludono da Federvini.
Oggi però c’è anche un altro fronte commerciale che preoccupa. In risposta ai dazi europei sui veicoli elettrici cinesi, Pechino vorrebbe imporre dei dazi su tutti i prodotti lattiero caseari europei. “Questo significherebbe cancellare sostanzialmente le nostre esportazioni verso la Cina”, avverte Zanetti, che aveva lanciato l’allarme a giugno in un articolo sul Corriere. A riguardo Lollobrigida sembra aver attivato canali diplomatici, come dice il presidente di Assolatte: “Con il ministro ci siamo incontrati a New York a fine giugno durante la Fancy food e poi ha organizzato una riunione in ministero con l’ambasciatore cinese nei primi giorni di luglio”. In sostanza, “a oggi i dazi cinesi sono minacciati, ma non ancora attivi”.