Il premier Starmer va a Parigi per le celebrazioni dell’Armistizio. La priorità è la difesa “incrollabile” dell’Ucraina, ma non ci sono novità sulle pressioni a Biden per l’utilizzo delle armi in territorio russo
Londra, dalla nostra inviata. Keir Starmer è arrivato a Parigi per le celebrazioni dell’Armistizio, è andato con Emmanuel Macron alla tomba del milite ignoto, un momento comune di cordoglio e memoria, ancor più simbolico visto che non accadeva dal 1944, quando il britannico in visita era Winston Churchill, e visto che il Regno Unito si sta riavvicinando all’Europa nel momento in cui tutti gli alleati prendono le misure al ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca. In cima alle preoccupazioni c’è il futuro della difesa dell’Ucraina.
Il premier britannico e il presidente francese hanno ribadito il sostegno “incrollabile” a Kyiv per “contrastare la guerra di aggressione della Russia”, ma non ci sono state dichiarazioni ufficiali sulla questione più urgente, cioè la richiesta che i due avrebbero fatto al presidente americano Joe Biden perché tolga le restrizioni all’utilizzo delle armi occidentali in territorio russo – finché è ancora in carica, cioè fino a gennaio. Starmer e Macron vogliono che l’Ucraina sia il più possibile pronta all’inverno, ma sanno anche che un consenso su questo permesso non c’è – come non ce ne sono molti altri che riguardano il futuro ucraino nella Nato e nell’Unione europea – e per il momento non si sbilanciano: contano, come tutti, sull’unica cosa incrollabile che c’è in questo conflitto, cioè la resistenza ucraina e la sua determinazione a rimanere libera e indipendente.
Starmer e Macron hanno parlato anche del controllo dei migranti che attraversano il canale della Manica, anche in questo caso non ci sono stati comunicati rilevanti, perché questo incontro serviva ad altro, cioè a dimostrare una rinnovata vicinanza di Londra al continente europeo. Il premier britannico, che ha consumato il suo idillio con gli inglesi dopo la grande vittoria elettorale a luglio in un tempo invero breve, ha messo l’Europa tra le sue priorità: non vuole (né può) ribaltare l’accordo della Brexit, ma vuole rosicchiare via le misure che si sono rivelate più punitive per lo stesso Regno Unito e riallinearsi con gli europei sulle questioni che contano di più: la sicurezza, la difesa e il sostegno all’Ucraina. Per questo durante l’estate è andato a Berlino e ha ospitato i leader della Comunità politica europea a Blenheim (anche questo un luogo churchilliano: ora che c’è una guerra sul territorio europeo, è Churchill il riferimento ideale di Londra nei rapporti con i partner continentali) e per questo è andato a Parigi in un giorno storicamente tanto rilevante: vuole rinsaldare l’alleanza, anche se dal punto di vista pratico alcuni funzionari dicono che ci sono dei ritardi, come la selezione dei parlamentari che si dovranno incontrare con gli europarlamentari con frequenza costante per delineare gli ambiti in cui si può ricreare una collaborazione.
Poi c’è il ritorno di Trump. Durante la campagna elettorale americana, il comitato trumpiano aveva accusato i laburisti britannici, compreso il chief of staff di Starmer, Morgan McSweeney, di aver aiutato in modo improprio la campagna di Kamala Harris (evidentemente senza esito positivo), ma il più aggressivo nei confronti del governo “comunista” e “woke” di Starmer era stato Elon Musk, il miliardario-guru che in questi giorni si è stabilito a Mar-a-Lago e partecipa a tutte le riunioni trumpiane, comprese le telefonate ai leader internazionali. Durante gli scontri estivi dopo l’uccisione di tre ragazzine da parte di un giovane originario del Ruanda, Musk aveva attaccato Starmer, incapace secondo lui di evitare “una guerra civile” nel Regno Unito. Musk è intervenuto anche di recente commentando negativamente le misure previste nella finanziaria starmeriana e a Londra alcuni dicono che il primo rapporto da ricucire, per il governo, è quello con il proprietario di X: se Musk continua a essere così ostile, con l’America di Trump le cose non potranno mai andare bene. Partono già male: molti ministri del governo di Starmer sono stati parecchio critici con Trump, soprattutto il capo della diplomazia, David Lammy, che pure è stato il primo ad allertare il suo capo sulla possibile vittoria di Trump (Lammy ha molti legami in America e un passato da attivista: le sue fonti gli dicevano che gli elettori storicamente democratici a questo giro non avrebbero votato Harris).
Starmer ha fatto un comunicato molto cortese e collaborativo dopo la vittoria di Trump, ma i trumpiani hanno reagito sprezzanti, sanno che Londra teme molto le minacce sui dazi, essendo il mercato americano imprescindibile per le aziende inglesi. Così mentre anche i Tory dicono che Starmer dovrebbe riprendere i contatti con Nigel Farage per trasformarlo nel proprio emissario alla corte di Trump, il premier sta valutando di nominare come prossimo ambasciatore britannico a Washington Peter Mandelson: i blairiani sono considerati i più credibili per trattare con la destra americana, pure se Trump (con Musk) rappresenta un’America nuova, irriconoscibile anche ai più esperti, di certo poco maneggevole.