Ci sarà certamente qualcuno, saranno anzi molti, pronti a dire e a scrivere che il Calendario Pirelli 2025, presentato in queste ore al Museum of Natural History di Londra, sia tornato al nudo dopo una decina di anni di woke politico, sociale, femminista, afro-hype e black lives matter (2019, una rivisitazione di “Alice nel Paese delle Meraviglie” starring Naomi Campbell e Sean Combs, dai quali cinque anni dopo chiunque cerca di prendere le distanze. Per essere obiettivi, però, alla presentazione fu imbarazzante soprattutto verificare come tutti, avendo aperto il testo di Carroll al massimo di sfuggita per l’occasione, ne ignorassero il valore eversivo e libertario, cioè lo scopo per il quale erano stati chiamati).
Andando oltre questo primo livello di lettura, ovvio, ci pare in realtà che questa nuova edizione del calendario certifichi più di molte altre il motivo per il quale “Il Pirelli” o “TheCal”, per antonomasia, abbia superato il tracollo del genere e nonostante la diffusione limitata continui a rappresentare un laboratorio di cultura trasversale, sofisticata e popolare al tempo stesso. Questo motivo risiede esclusivamente nella sua capacità di cogliere lo spirito del momento; magari non sempre sulla distanza, ma nel hic et nunc, certamente sì. Qui e ora, The Cal rappresenta un barometro dell’evoluzione della società occidentale. Dunque il nudo, comunque parziale, “velato” come si diceva un tempo, dell’edizione 2025, non è lo stesso nudo della famigerata versione di Terry Richardson del 2010. Volendo, potrebbe assomigliare ai nudi di Robert Freeman e Francis Giacobetti, quelle forme slanciate e allegre degli Anni Sessanta che furono, non a caso, epoca di liberazione sessuale e sensuale. Ma questo Calendario 2025 contiene i semi e i gesti e i modi di un altro mondo, di un altro modo di sentire, cioè della società del 2024, e giustamente.
Nel progetto, firmato da Ethan James Green, fotografo e gallerista trenta-e-qualcosa, ex modello, voluttuosamente vanitoso e sicuro di sé al punto di spogliarsi a sua volta (“mi sono incluso nel Calendario perché ero l’unica persona a cui potessi chiedere di mettersi completamente nuda”), la questione della pelle scoperta è più sottile di quanto appaia, più politica diciamo, perché racconta di una società altamente pacificata attorno alla bellezza. Una società colta, certamente, educata, inclusiva, per molti aspetti lontana da quella che da questa parte dell’Atlantico crediamo abbia votato Donald Trump e che invece certamente la racchiude. Il mondo è andato avanti, il mondo va avanti a dispetto delle narrazioni più diverse, e forse la figlia transgender di Elon Musk, Vivian Jenna Wilson, che dichiara di voler lasciare il proprio paese ritenendolo “non più sicuro”, potrebbe trarre qualche nota di conforto da questo fascio di immagini realizzate in un ideale ponte progettuale fra l’Europa e gli Stati Uniti.
L’amministratore delegato di Pirelli, Marco Tronchetti Provera, sempre ecumenico, questa volta osserva che nonostante il “periodo complesso”, l’Europa e in particolare l’Italia abbiano dato prova di solidità: ovviamente non parla solo di cultura, l’apertura nei riguardi della squadra di Giorgia Meloni è evidente, ma che tenga a ribadire come “l’unione fra cultura e industria” di cui il “Calendario Pirelli è espressione”, rappresenti “un pilastro della società”, è indicatore significativo di un certo modo di pensare, anche molto milanese se si vuole, dell’impresa italiana vecchio stampo. E l’impresa italiana vecchio stampo non vuole sentirsi dire che cosa pensare e che cosa mostrare. Il punto potrà anche dare sui nervi a molti, ma un Calendario Pirelli che include bellezze a prescindere dal genere nel quale sono nati (che è stato loro “assegnato alla nascita” come si dice adesso) e quello che si sono scelti, che hanno perseguito, per il quale hanno anche subito operazioni dolorose (no, non vi diremo chi e in quale “mese” siano ritratti, non vogliamo che siate indotti a scrutare le immagini con malizia, godetele per quelle che sono, speriamo che in un prossimo futuro tutto questo non abbia più grande importanza) racconta di una società nuova e al contempo molto antica, antichissima, perché l’arte pre-cristiana occidentale, quella greca in particolare, ha sempre celebrato l’estetica, il kàlos che è virtù del corpo ma anche dell’anima, senza mai porsi la questione del genere. Non è la prima volta che il Calendario Pirelli guarda a questo momento primigenio dell’estetica occidentale, lo aveva già fatto Karl Lagerfeld nel 2011: ma la sua immagine teatrale, quasi caricaturale, vestita di alette e di coturni, era lontanissima da quella di Green. Quando parla il linguaggio dell’armonia, la ἁρµονία che è unione, e “proporzione”, la bellezza è facilmente intuibile, condivisibile da tutti, dona piacere estetico e, come osservava l’ex modella Padma Lashkmi rispondendo a una nostra domanda sul suo ritorno al “modelling” a cinquant’anni e con un presente di attivista per i diritti civili, “regala anche un po’ di leggerezza”. A quasi un decennio dal #metoo che ha travolto Richardson, ci si può insomma concedere un momento di piacere egotico e posare nude, o nudi, come per esempio l’attore John Boyega, molto spiritoso, o Vincent Cassel che compare dalla cintola in su, modello Farinata degli Uberti, mostrando ancora bicipiti niente male. Non siamo più al Calendario 2016 di Annie Leibovitz che, per primo, celebrava la bellezza femminile più diversa: il momento della body positivity a tutti i costi è passata, per certi versi ha mandato anche un messaggio sbagliato, perfino la popstar Lizzo ha capito che oltre un certo peso si rischia la salute. Questo è un almanacco di gente bella, indiscutibilmente, e indiscutibilmente attenta al proprio fisico. Ma non è necessariamente giovane, e non legata necessariamente al binarismo. Si intitola, non a caso, “Refresh and reveal”: un aggiornamento e una scoperta. Oltre a Cassel e a Lakshmi vi compaiono l’attivista americana Hunter Schafer, l’attrice Simone Ashley e l’attrice sudcoreana Hoyeon, interprete dell’immagine forse più evocativa, e ancora Jodie Turner-Smith, l’artista americana Martine Gutierrez, l’illustratrice di moda americana Connie Fleming e la modella Jenny Shimizu, già ritratta nel calendario di Avedon del 1997. Se volete capire chi-è-chi, e che cosa era “prima”, potete googlarli.
Nel calendario c’è anche Elodie, a differenza dei nomi internazionali scelta dal fotografo fra una rosa di proposte. Lui e la fashion director, Tonne Goodman, già fashion editor di Vogue America, l’hanno trovata adorabile: molto bella, molto brava, molto simpatica, molto gesticolante, insomma “molto italiana”. Questa sottolineatura in tutta l’armonia ci è piaciuta un po’ di meno. Ma il mondo, dopotutto, va avanti a tentativi e continua ad essere ineguale.