Il ritorno di Marco Giampaolo, maestro di calcio per mancanza di prove

L’allenatore era da due anni senza squadra, dopo una carriera di grandi alti e diversi sprofondi. Sostituirà Luca Gotti sulla panchina di un Lecce terz’ultimo in classifica

La stagione dell’amore per Marco Giampaolo non ha ancora finito di bruciare i sogni perduti sul falò dell’ennesima chiamata alle armi – la notizia è che è appena stato nominato allenatore del Lecce al posto di Luca Gotti – ma per dirla alla Battiato, il nostro ne ha avute di occasioni, perdendole certo e comunque si sa, gli orizzonti svaniti nel marasma del 4-4-2 non si scordano mai. Cominciata la carriera da venerato maestro di calcio, Giampaolo negli ultimi anni si è trovato avviluppato nei suoi stessi schemi, nel crocevia esistenziale dove regna l’incomprensione e l’incompiutezza. Tanto che – per i critici più feroci – Giampaolo è oggi un maestro di calcio per mancanza di prove. Il rilancio leccese arriva dopo tre esoneri consecutivi, una litania di misfatti che dal Milan al Torino arrivando alla Sampdoria l’hanno travolto e abbandonato sul bagnasciuga dei rimpianti. E ogni volta il solito comunicato ufficiale da parte del club, lì dove si ringrazia per il lavoro svolto e si augura all’esonerato i migliori successi professionali. Si intende: altrove, per carità.





Al Milan Giampaolo rimase meno di tre mesi, da fine agosto a inizio ottobre 2019. Sette giornate, tre vittorie, quattro sconfitte: un pianto. Al suo posto il Milan – che quell’estate aveva fatto la rivoluzione dirigenziale con Boban e Maldini – arruolò Pioli. Nel mentre – inverno 2020 – Giampaolo si accasò a Torino. 18 partite, impreziosite (ehm ehm) da 2 sole vittorie. L’esonero arrivò dopo uno 0-0 contro lo Spezia, i granata erano terzultimi in classifica. Al suo posto venne chiamato d’urgenza Davide Nicola, che centrò l’obiettivo salvezza con due giornate di anticipo. Passò un altro anno e Giampaolo subentrò a D’Aversa sulla panchina della Sampdoria. In pochi mesi ottenne la salvezza e la riconferma, ma la fiducia svanì alla prima curva: nella stagione successiva la permanenza in blucerchiato durò il tempo di un sospiro e una maledizione. 8 partite, zero vittorie. La squadra, affidata a Dejan Stankovic, retrocesse ugualmente: magra consolazione. Riavvolgendo il film dal 2019 al 2022: il nobile Milan, l’ambizioso Torino, la derelitta Sampdoria. Nel declino di un curriculum piegato dagli eventi, si legge il rapido scolorire di un allenatore che – l’abbiamo detto – aveva cominciato la sua carriera accompagnato dal vento di qualche buon risultato (la promozione dalla B alla A con l’Ascoli al debutto da mister esattamente vent’anni fa, la salvezza con il Siena) ma anche da esoneri in serie (Cagliari, Catania, Cesena), da frettolose dimissioni (Brescia) lungo stagioni segnate da un continuo rincorrere se stessi, tra promesse mancate e piccoli fallimenti.

La biografia di Giampaolo intercetta uno snodo cruciale, un bivio che l’ha segnato profondamente. Nell’estate del 2009 l’allora quarantenne di successo era diventato l’allenatore della Juventus. C’era l’accordo su tutto, dal contratto alla campagna acquisti. Una notte di mezza estate andò a letto convinto di sedere sulla panchina bianconera, la mattina dopo si risvegliò sudato: il sogno era sfumato a sua insaputa. Il cda della Juve l’aveva bocciato, preferendogli Ciro Ferrara. Giampaolo ne uscì scosso e ferito nell’orgoglio. Il resto sono le conseguenze del dolore. Schiacciato dal peso di una sensibilità non ordinaria – è un uomo colto e non banale – quasi sempre fuori fuoco nelle riprese televisive, poco incline al compromesso e al sorriso forzato; Giampaolo ha mantenuto in questi anni la schiena dritta, ma il resto è andato tutto storto. Non allenava da due anni. Lecce gli offre l’ennesima ripartenza, forse l’ultima chance per sfilarsi dalla pattuglia sdrucita degli allenatori a gettone. Ha l’obbligo di salvare la squadra, ha il dovere di salvare la sua reputazione.

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