Il calcio che si ribella all’Intifada globale

Lezione dei tifosi tedeschi agli antifascisti alle vongole. Il pogrom olandese non c’entra con il tifo ma con lo stesso antisemitismo che ora suggerisce agli ebrei di nascondersi in Europa e di stare lontani da ogni evento culturale

Non era solo tifo, non era solo una rissa, non era solo un incidente, non era solo un capannello di scappati di casa deciso a colpire per vendetta i tifosi di un’altra squadra. Era, ed è stato, qualcosa di più. Qualcosa che molti professionisti dell’antifascismo hanno scelto di non vedere, di nascondere, di minimizzare, di mettere da parte, di archiviare sotto la voce scazzi tra gli ultras, e qualcosa che invece più passa il tempo e più somiglia maledettamente alla punta di un iceberg più grande, al centro del quale c’è l’esportazione, fuori dal medio oriente, dell’intifada, e al centro del quale c’è, semplicemente, l’esportazione, fuori dal medio oriente, della caccia all’ebreo. A dire che non era tifo, che non era una rissa, che non era un incidente, che non era un capannello di scappati di casa sono stati in molti, in giro per il mondo, ma la testimonianza forse più genuina di vicinanza al popolo ebraico colpito ad Amsterdam non perché colpevole di essere tifoso di una squadra di calcio, il Maccabi, ma perché colpevole di essere ebreo è arrivata proprio da una squadra di calcio speciale, spettacolare, che negli ultimi mesi ha messo in campo, e anche fuori dal campo, una delle sue vocazioni: la lotta all’antisemitismo.

Siamo in Germania, siamo a sud-ovest di Amburgo, siamo a Brema, e sabato scorso la squadra più importante della città, il Werder Brema, che gioca nella serie A tedesca, ha compiuto due piccoli capolavori. Il primo l’ha fatto la società stessa, che nello stesso giorno in cui Amsterdam è stata teatro di una nuova Notte dei cristalli, ha usato i suoi account social per dire: “Oggi commemoriamo le vittime della notte dei cristalli. L’antisemitismo e l’odio non hanno posto nella nostra società, questi eventi non devono mai più ripetersi”. Alcune ore dopo lo stesso hanno fatto i tifosi del Werder, che pochi istanti prima dell’inizio della partita contro l’Holstein Kiel, partita vinta 2-1, hanno esposto uno striscione fantastico: “Solidarietà a chi è stato colpito dalle violenze antisemite. Contrastare i pogrom. Mai più è sempre”. Pochi chilometri più in là, sempre in Germania, altra partita e altri striscioni. Questa volta siamo nello stadio del St. Pauli, squadra di serie A tedesca, che gioca contro il Bayern Monaco. Striscione del St. Pauli: “Non dimenticare”. Striscione del Bayern: “Non dimenticheremo mai. Mai più è ora”. Il giorno prima, un altro club importante, il Borussia Dortmund, sceglie di intervenire sul tema. Questa volta dall’account ufficiale della squadra: “Condanniamo la violenza antisemita contro i fan del Maccabi, nel modo più forte possibile”.

Sono i tifosi, in Germania, a pochi chilometri da Amsterdam, a dire, ai tifosi dell’Intafada, che ad Amsterdam il tifo non c’entra nulla, che ad Amsterdam è stato un pogrom, che ad Amsterdam i tifosi del Maccabi sono stati aggrediti perché colpevoli di essere ebrei e non perché colpevoli di aver provocato i tifosi di un’altra squadra (i tifosi dell’Ajax, per chi non se ne fosse ancora accorto, non hanno partecipato alla caccia all’ebreo). Sono i tifosi, in Germania, ad aver offerto lezioni di antisemitismo a molti antifascisti europei, anche a quelli italiani, particolarmente allarmati quando qualche fascista si raduna in una piazza con il braccio teso a invocare il Duce e per nulla allarmati quando un ebreo viene invece preso a calci, in una qualche capitale europea, per la sua fede, per la sua religione, per il suo passaporto, per il suo credo. Sono i tifosi, in Germania, che provano ad aprire gli occhi a chi sogna di tenerli socchiusi di fronte alle scene di antisemitismo.

E servirebbero ancora i tifosi del Werder Brema a spiegare agli antifascisti alle vongole che quello che è successo ad Amsterdam non è un caso isolato ma è la fotografia di un dramma europeo che ieri si è arricchito di un altro capitolo nel momento in cui il Consiglio per la sicurezza nazionale di Israele ha scelto di diramare un avviso per i viaggiatori israeliani in seguito agli attacchi di Amsterdam per avvertire che gruppi antisraeliani hanno incitato a colpire israeliani ed ebrei in altre parti d’Europa, per avvertire che gruppi pro palestinesi stanno pianificando di danneggiare gli ebrei sfruttando gli assembramenti in occasione di eventi sportivi e culturali, arrivando a invitare gli ebrei a “partecipare a eventi sportivi e culturali, con particolare attenzione alla prossima partita della Nazionale israeliana a Parigi”, a “evitare manifestazioni e proteste di qualsiasi tipo”, “a mantenere riservati i simboli identificativi israeliani, anche quando si prenotano taxi o si noleggiano veicoli tramite app” e di prestare attenzione in caso di viaggio all’estero se la destinazione ha una “grande popolazione di migranti provenienti da paesi contrari a Israele”. Essere ebrei, in Europa, è diventato un pericolo mortale. E quando azioni terribili come quelle di Amsterdam vengono tollerate e razionalizzate, accompagnate da molti “bisogna capire”, “bisogna contestualizzare”, il passo per far diventare un pogrom non come un’eccezione ma come una regola è breve. Viva il Werder Brema. Viva i meravigliosi tifosi che trasformano le curve in bandiere della resistenza contro la nuova intifada globale.

  • Claudio Cerasa
    Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e “Ho visto l’uomo nero”, con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.

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