Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa
Al direttore – Condivido il suo incrollabile ottimismo, che rende persino accettabile il nostro governo, purché mantenga, pur negandolo, l’agenda Draghi e un profilo atlantista. Mi auguro che Trump, influenzato da Musk, diventi meloniano, così da non realizzare neanche un punto del suo programma e attenersi invece ai saggi suggerimenti del deep state americano.
Enrico Cerchione
La ragione per cui essere ottimisti su Trump non solo è sbagliato ma è anche pericoloso è stata fotografata bene da Francis Fukuyama sul Financial Times di venerdì scorso. Fukuyama scrive che Donald Trump non solo vuole far retrocedere il neoliberismo e il liberalismo woke, ma è una minaccia importante per lo stesso liberalismo classico. E questa minaccia è visibile in un numero qualsiasi di questioni politiche, perché “una nuova presidenza Trump non assomiglierà per niente al suo primo mandato”. La vera domanda, si chiede Fukuyama, “non è la malignità delle sue intenzioni, ma piuttosto la sua capacità di realizzare effettivamente ciò che minaccia”. “Prima delle elezioni, i critici, tra cui Kamala Harris, hanno accusato Trump di essere un fascista. Ciò è stato fuorviante, in quanto non era in procinto di implementare un regime totalitario negli Stati Uniti. Piuttosto, ci sarebbe stato un graduale decadimento delle istituzioni liberali, proprio come è accaduto in Ungheria dopo il ritorno al potere di Viktor Orbán nel 2010. Questo decadimento è già iniziato e Trump ha causato danni sostanziali. Ha approfondito una polarizzazione già sostanziale all’interno della società e ha trasformato gli Stati Uniti da una società ad alta fiducia a una società a bassa fiducia; ha demonizzato il governo e indebolito la convinzione che rappresenti gli interessi collettivi degli americani; ha reso più volgare la retorica politica e ha dato il permesso a palesi espressioni di bigottismo e misoginia; e ha convinto la maggioranza dei repubblicani che il suo predecessore era un presidente illegittimo che ha rubato le elezioni del 2020”. Conclusione: “Possiamo solo sperare che alcune delle barriere istituzionali rimanenti rimangano in vigore quando entrerà in carica. Ma potrebbe essere che le cose debbano peggiorare molto prima di migliorare”. Ottimismo, ma con brivido.
Al direttore – Anziché sopprimerla, la dirigistica norma – di antico stampo – contenuta nella proposta di legge di Bilancio che prevede la presenza di un rappresentante del Tesoro nei collegi sindacali o dei revisori di società, enti, organismi e fondazioni che ricevono contributi pubblici, verrebbe solo modificata, tra l’altro, innalzando l’importo del contributo che fa scattare tale anacronistico inserimento. I controlli sul corretto utilizzo di fondi pubblici, sempre doverosi, ben possono essere effettuati senza arrivare addirittura alla presenza di funzionari pubblici negli organi di controllo la cui composizione è prevista e disciplinata da norme primarie e secondarie. Se, poi, non è chiaro se la norma in questione si applichi pure a soggetti privati – per cui l’Abi ha chiesto un’espressa puntualizzazione che escluda tale eventualità – allora bisognerebbe osservare che, ove il dubbio fosse fondato, saremmo oltre il dirigismo, a una prova, cioè, di statalismo, per di più irragionevole, che sarebbe facilmente bocciata per incostituzionalità. Allora ci vuole molto a introdurre controlli che non tocchino la composizione e i compiti degli organi deliberativi e di controllo di una società o di un ente? Perché non si procede in questa direzione? E’, forse, una questione di incarichi da assegnare, magari compensativi di eventuali tagli di emolumenti?
Angelo De Mattia