Sublimato o terrificante, l’inferno in una mappa intrecciata alla sua storia

Il volume colto e godibile di Matteo Al Kalak, docente di Storia moderna all’Università di Modena e Reggio Emilia, riesce nell’intento di coniugare un discorso storico e culturale attorno a uno degli elementi del cristianesimo che forse più di ogni altro hanno stimolato l’immaginazione popolare

Che forma ha l’inferno? Elemento costitutivo del discorso cristiano assume poi all’interno della tradizione una continua elaborazione al punto da poterne definire una vera e propria mappa letteralmente intrecciata alla sua storia. E “Storia e geografia dell’inferno” è il sottotitolo azzeccassimo di Fuoco e fiamme (Einaudi), un volume colto e curioso di Matteo Al Kalak, docente di Storia moderna all’Università di Modena e Reggio Emilia. Il testo estremamente godibile riesce nell’intento di coniugare un discorso storico e culturale attorno a uno degli elementi del cristianesimo che forse più di ogni altro hanno stimolato (e ancora stimolano) l’immaginazione popolare, ma anche quella di artisti e intellettuali che da sempre attivano un confronto vivido con l’inferno tra sublimazione e terrore.

Il volume, come anche avverte in prefazione lo stesso autore, si combina e s’intreccia con il fondamentale Storia del limbo (Feltrinelli, 2017) di Chiara Franceschini che rappresenta uno più innovativi e fondamentali testi storico-religiosi apparsi negli ultimi anni in Italia. E bisogna subito dire che Fuoco e fiamme non è da meno, anche se dispiace un po’ la scelta, probabilmente dell’editore, di non aver dotato il testo di un adeguato apparato iconografico che avrebbe certamente valorizzato il testo e arricchito la lettura. Matteo Al Kalak sviluppa il discorso attraverso otto capitoli che prendono avvio da una preziosa contestualizzazione che traccia i termini della nascita del concetto d’inferno introducendo alla sua primordiale elaborazione, per poi affrontarne la forma e dunque lo sviluppo come vero e proprio luogo, con una serie precisa di caratteristiche fisiche e geografiche. Un orientamento che è figlio di un pensiero teologico e intellettuale che si pose sempre l’obiettivo di aderire e implementarsi all’interno di un discorso popolare, sia in chiave pedagogica e pastorale, ma anche offrendo spazio a una vera e propria elaborazione autonoma. Una modalità d’innesto che si legò a doppio filo anche con gli altri ambiti di studio e di ricerca, come quello scientifico, rendendo così fin dal principio l’inferno quale un luogo di evidenza fisica: “Senza l’inferno cadono sia l’equilibrio matematico disegnato da Bonario sia l’impianto teologico e pastorale di Rusca, Pezzi e Cereali (ed è comprensibile lo zelo di Patuzzi contro ogni deriva eliocentrica che sfaldi una lettura fissatasi nei secoli”. Da un inferno spopolato si passa così a un inferno organizzato dentro cui i dannati stanno in un rapporto preciso con la giustizia di Dio. L’inferno diviene così uno spazio d’indagine che si riflette direttamente con l’organizzazione della società, arrivando fino al Novecento praticamente intatto. Ma non solo, l’aspetto che più appare sintomatico dell’idea di un male contenuto in un luogo, è la sua capacità evocativa che rende l’inferno ancora oggi parte integrante di un discorso religioso nonostante la perdita di verità filosofica e i radicali cambiamenti culturali e teologici incorsi nei secoli. In una contemporaneità così totalmente immateriale e secolarizzata, l’inferno svela così un’ingenuità e a tratti un infantilismo attraverso la forza icastica della sua irriducibile fisicità.

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