Ripubblicato “Antifona” di Ayn Rand, distopia collettivista e inno alla creatività libera

Per Rand, la libertà è una cosa semplice: è la possibilità dell’uomo di realizzare se stesso, di ergersi al di sopra del conformismo massificante, di scegliere come perseguire la felicità a proprio modo

Ha scritto una volta Ignazio Silone che la storia dell’utopia è “la storia di una sempre delusa speranza, ma di una speranza tenace. Nessuna critica razionale può sradicarla”. Il presente delude l’uomo e questi ha bisogno di credere che il domani possa essere migliore del presente. Niente di male, anzi. Se qualcosa muove l’azione umana è proprio la fiducia nel miglioramento della propria condizione. L’essere umano, in sostanza, ha bisogno di credere nel futuro come orizzonte di nuove e più proficue possibilità. Ma che succede quando si cerca di pianificare l’avvenire come fosse una macchina? A cosa si riduce l’uomo entro un universo in cui la libertà di fatto viene a tal punto compressa da divenire vera e propria schiavitù?

Nel corso del Novecento, a ben vedere, l’utopia come genere politico-letterario subisce un radicale cambiamento di prospettiva. Se prima l’utopia era concepita come luogo immaginario in cui si potevano realizzare le meraviglie ideate da un sognatore, le utopie realizzate nella storia – comunismo sovietico, nazionalsocialismo e derivazioni successive – dimostrano cosa in realtà siano: un molto (poco) rispettabile inferno, una distopia. Sì perché l’anti utopia o utopia negativa altro non è che l’utopia portata alle estreme conseguenze, ovvero coerentemente perseguita, piuttosto che una sua degenerazione. E qual è il minimo comune denominatore di ogni distopia? L’odio per l’individualismo (e dunque la distruzione di tutto ciò a cui è legato: in primis, la proprietà privata, nemica di ogni utopia), l’elogio di un mondo ordinato e platonicamente architettato da chi sa. In sostanza, il collettivismo in purezza.

Ne sono prova varie opere letterarie come Noi (1924) del russo Evgenij Zamjatin, e i più noti Il Mondo Nuovo (1932) di Aldous Huxley e 1984 (1949) di George Orwell. Tutte e tre sono accomunate da una concezione estremamente pessimistica del futuro. La speranza nell’avvenire ha lasciato il posto a un incubo reale: quello di una società totalitaria, più crudo nel caso di Zamjatin e Orwell, più soft nel caso di Huxley. Vi è però un’altra distopia che, pur parlando di un futuro lugubre e totalitario, immagina la possibilità di una svolta. E’ Antifona (1938) di Ayn Rand (1905-1982), da poco riedito da Liberilibri. Rand, pseudonimo di Alisa Rosenbaum, può essere considerata un’intransigente combattente per la libertà. Russa ed ebrea, a fine anni Venti lasciò per sempre l’Unione sovietica per stabilirsi negli Stati Uniti. Appassionata di cinema, è ancora oggi celebre per i suoi molti romanzi, tutti a favore della causa della libertà dell’individuo.

Per Rand, la libertà è una cosa semplice: è la possibilità dell’uomo di realizzare se stesso, di ergersi al di sopra del conformismo massificante, di scegliere come perseguire la felicità a proprio modo. Difficile trovare autore o autrice meno favorevole al compromesso di Rand: l’individualismo è l’antitesi del collettivismo, la libertà è l’opposto della schiavitù. Non ci sono terze vie, poiché ogni passo che allontana l’individuo dalla sua libertà è un movimento verso la sua soppressione. Il futuro distopico immaginato da Rand è dunque un mondo collettivistico in cui non esistono individualità ma solo un grande “noi”. Infatti, esiste una parola proibita: “io”. La negazione dell’io riassume un po’ tutto l’universo totalitario: se non posso affermare chi sono, non esisto come tale. Sono ridotto a mero ingranaggio di una macchina comandata dall’alto. E infatti persino i lavori vengono stabiliti dai saggi (“Consiglio delle Vocazioni”). Qual è però la particolarità di questa distopia? Per Rand, un mondo progredito è solo quello in cui ciascuno può affermare la propria creatività. Non a caso, il mondo ritratto nel libro è arretrato – la grande riscoperta del protagonista è… l’elettricità! Una realtà senza libertà, per Rand, non può che essere destinata alla povertà. E’ compito dell’individuo spezzare le catene che comprimono il proprio afflato creativo e l’uso della ragione.

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