Princìpi ispiratori per il Canone di domani

L’approccio dovrebbe essere triplice: dare alle grandi autrici uno spazio maggiore a discapito dei minimi insignificanti che intasano gli indici, riconoscere che la prevalenza maschile derivava da condizioni strutturali ormai superate, ridurre il canone da elenco di nomi a elenco di testi

Eliza Clark, promettente autrice britannica, in un’intervista all’Observer ha fatto notare una tendenza irritante: quando esce il romanzo di un esordiente si tende a collocarlo subito in un canone, come nuovo Bukowski o nuovo Kerouac; quando invece è una esordiente, scatta il paragone con il romanzo di un’altra autrice uscito sei mesi prima. Il dettaglio rivela la nostra concezione di canone letterario. Pur nella sua porosità, è un elenco che seleziona autori in base alla rilevanza per i posteri, ed è un fatto che – per predominio economico e sociale nei secoli addietro – ne abbiamo ricevuto uno a schiacciante maggioranza maschile. Sul mio manuale di letteratura italiana del liceo, le autrici erano due dal Medioevo all’Umanesimo, una dal Rinascimento all’Illuminismo, tre dal Neoclassicismo al Verismo, due dal Decadentismo a quelli che all’epoca erano i giorni nostri. In compenso c’erano Matazone da Caligano, Ortensio Lando, Giambattista Felice Zappi, Vittorio Betteloni e Luigi Chiarelli.

L’approccio al canone dovrebbe dunque essere triplice: da un lato, e sta già accadendo, dare alle grandi autrici uno spazio maggiore a discapito dei minimi insignificanti che intasano gli indici; dall’altro, riconoscere che la prevalenza maschile derivava da condizioni strutturali ormai superate, almeno in gran parte, e abbia quindi valore testimoniale anziché normativo. Bisognerebbe però anche ridurre il canone da elenco di nomi a elenco di testi: non Alessandro Manzoni ma I promessi sposi, Il cinque maggio, gli Inni sacri, così da far germogliare letteratura in chiunque e non soltanto in maschi cattolici con dieci figli e casa in centro a Milano. Non credo che a ispirare un giovane debba essere la presenza di suoi simili che ce l’hanno fatta; come se io mi fossi dato alla scrittura, venendo da Gravina in Puglia, a causa di un oscuro poetante barocco mio compaesano che si chiamava Federigo Meninni e scriveva versi strazianti sulla morte. Se accettiamo che a ispirare i nuovi autori sono i testi e non gli scrittori del passato, la letteratura diventerà più libera e più felice; significherà poter ambire a essere inclusi nel canone del futuro non per chi si è ma per cosa si scrive.

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