Prezzi gonfiati e difficoltà anche per i filati eco–compatibili. Cosa cambierà (in peggio) per la moda negli Usa se verranno applicate le tariffe promesse in campagna elettorale
New York. È stata una promessa costante durante la campagna elettorale di Donald Trump e ora, con ogni probabilità, diventerà reale. Si parla di una tariffa su base universale del 10-20 per cento su tutte le importazioni statunitensi e di una tariffa del 60 per cento sulle merci provenienti dalla Cina: una manovra che, secondo il Peterson Institute for International Economics, costerebbe alle famiglie americane fino a 2.600 dollari in più all’anno. Dalle automobili ai telefonini sono innumerevoli i prodotti che verranno tassati e il cui mercato verrebbe alterato. Tra questi ovviamente anche gli abiti e la moda in generale, un settore in cui molte aziende fabbricano i loro prodotti in Cina o utilizzano materiali provenienti dall’estero e che già era stato colpito dalle tariffe imposte da Trump durante la sua prima presidenza e poi mantenute anche sotto quella di Joe Biden. Katie Lobosco di Cnn Politics ha scritto di recente che gli americani stanno ancora pagando di più per scarpe, valigie e cappelli dopo che Biden ha lasciato in vigore le tariffe di Trump. “Nel 2018, l’allora presidente Trump impose nuove tariffe su una varietà di beni di fabbricazione cinese, tra cui berretti da baseball, valigie e scarpe”, e da allora gli americani ne hanno pagato il prezzo.
Per esempio, una valigia che costava cento dollari prima che Trump imponesse le tariffe, ora costa circa 160 dollari, e un bagaglio a mano che costava 425 dollari ora ne costa 700, spiega Tiffany Zarfas Williams, proprietaria del negozio di bagagli di Lubbock in Texas, citata sempre da Lobosco. “Mentre entrambi hanno abbracciato le tariffe per proteggere le industrie statunitensi dalle pratiche commerciali sleali della Cina, la strategia di Biden ha colpito molti meno beni rispetto all’ultima proposta di Trump di imporre una tariffa di almeno il 10 per cento su tutte le importazioni statunitensi per un valore di tremila miliardi di dollari in caso di vittoria”. Entrate in vigore nel settembre del 2019, le prime tariffe imposte da Trump hanno colpito il 91,6 per cento dell’abbigliamento, il 68,4 per cento dei tessili per la casa e il 52,5 per cento delle calzature importate dalla Cina, secondo l’American Apparel and Footwear Association. A parte i marchi che producono direttamente in Cina o che ne usano materie prime, a essere colpiti potrebbero essere anche marchi che utilizzano pratiche rinnovabili e materiali su misura per individui sensibili.
Un caso: NoNetz, fondata da Cathy Paraggio, è una ditta specializzata in abbigliamento per la comunità autistica. Secondo quanto riporta Heather Almirato su gobanking.com, ditte come NoNetz sarebbero particolarmente colpite dalle tariffe perché sono organizzate attorno a pratiche etiche e utilizzano materiali unici. “Con Trump, prevediamo aumenti significativi dei prezzi al dettaglio e dei costi di transito che potrebbero influenzare le scelte dei consumatori”, sostiene Paraggio. “Le nostre linee di athleisure sostenibili, realizzate su richiesta a New York, si basano su filati provenienti da aziende agricole altamente certificate al di fuori del Paese. Con il probabile aumento dei prezzi dei filati, i nostri attuali margini verrebbero eliminati, costringendoci a riconsiderare del tutto la produzione di queste linee”. Una conseguenza secondaria delle tariffe sarebbe quindi quella di allontanare i consumatori dalla moda sostenibile perché spaventati dall’aumento dei costi. “I dazi potrebbero non solo gonfiare i prezzi, ma anche soffocare la crescita della moda sostenibile, rendendo più difficile per i consumatori scegliere opzioni eco-compatibili”, chiosa Paraggio.