Imprenditori edili pronti a violare la legge pur di costruire, politici e funzionari piegati agli interessi dei privati: la vasta campagna giudiziaria della procura di Milano contro i presunti abusi edilizi si basa su una presunzione di malafede di tutti i soggetti coinvolti. A dirlo sono i giudici
Da una parte gli spietati imprenditori edili, pronti a violare qualsiasi legge pur di inondare Milano di colate di cemento. Dall’altra i politici e i funzionari del Comune, pronti ad autorizzare costruzioni abusive per favorire i re del mattone (senza però intascare tangenti). Sembra essere questa la concezione del mondo adottata dalla procura di Milano, che da due anni ha dato via a una campagna giudiziaria su vasta scala incentrata su presunte irregolarità nel settore immobiliare, fatta di continue indagini e sequestri. Ad attribuire questa presunzione di malafede da parte dei pubblici ministeri nei confronti di costruttori, politici e impiegati comunali sono direttamente i giudici del tribunale del Riesame di Milano in un’ordinanza del 30 giugno 2023, riguardante uno dei primi casi di presunto abuso edilizio: quello della palazzina di sette piani in corso di costruzione in piazza Aspromonte. Secondo il pool di magistrati guidato dall’aggiunto Tiziana Siciliano (e composto dai colleghi Marina Petruzzella, Paolo Filippini e Mauro Clerici), la palazzina sarebbe stata realizzata sulla base di “permessi di costruire illegittimi per violazione delle norme che regolano l’altezza delle costruzioni nei cortili”. Permessi “emessi sulla base di pareri ideologicamente falsi della commissione per il paesaggio” del Comune di Milano.
I pm avevano chiesto il sequestro dell’immobile, di proprietà della società Bluestone Aspromonte (difesa dagli avvocati Andrea Soliani e Nicolò Pelanda), ma la richiesta è stata bocciata addirittura cinque volte: una dal gip, due volte dal Riesame e due dalla Cassazione. Anche in questo caso, come nei tanti casi che poi sono seguiti, a colpire è innanzitutto l’assenza di ipotesi corruttive. In altre parole, secondo i pm, i politici e i funzionari del Comune avrebbero agevolato l’autorizzazione della costruzione di immobili abusivi senza ricevere tangenti, dunque solo per il piacere di farlo.
Ciò che risulta interessante della vicenda della palazzina in piazza Aspromonte non è tanto la questione giuridica attorno alla quale la procura ha innestato il suo debole impianto accusatorio (cioè il fatto che la palazzina sarebbe stata realizzata in un “cortile” in cui non si sarebbe potuto costruire, tesi smentita da tutti i giudici), ma è appunto la presunzione di malafede mostrata dai pm, evidenziata dallo stesso tribunale del Riesame che ha rigettato la richiesta di sequestro dell’immobile. Nel 2014, quindi ben prima della realizzazione della palazzina, il Comune era intervenuto con una determina per chiarire la nozione giuridica di “cortile”, che non risultava ben chiara a causa dell’affastellamento di svariate norme. Ebbene, secondo i pm milanesi quella determina nasceva da una “preordinata malafede degli organi comunali e dei suoi funzionari”. Il tribunale del Riesame ha invece chiarito che il provvedimento del Comune “non è (stata) una iniziativa compiacente rispetto agli interessi dei costruttori”, bensì “il tentativo di offrire al cittadino e agli organi deputati alla gestione dell’edilizia parametri trasparenti”. Insomma, un atto di chiarificazione e di trasparenza delle norme da parte del Comune è stato interpretato dalla procura come un’iniziativa furbesca in favore degli interessi degli imprenditori edili.
La stessa logica di presunzione di malafede si rintraccia proprio attorno all’azione dei costruttori. Per quale ragione un’impresa che per il suo progetto edilizio ha ottenuto legittimamente tutte le autorizzazioni necessarie dai tecnici del Comune, peraltro attraverso un iter lungo diversi anni, deve essere accusata di aver ottenuto il permesso per costruire in modo illecito? Nel caso della palazzina di piazza Aspromonte (ma questo sarebbe facilmente replicabile anche agli altri), il Riesame “rileva la evidente buona fede” dei costruttori, la cui pratica edilizia “ha registrato per tre volte il parere positivo della Commissione Paesaggio in varia composizione, con pareri formulati all’unanimità, che ha visto ripetute interlocuzioni con i funzionari comunali preposti all’istruttoria”, i quali hanno dato “prova di attenzione con la quale risulta esaminata la richiesta di permesso e dell’affidamento che il privato poteva riporre nel titolo rilasciato”.
La presunzione di malafede della procura di Milano contribuisce a spiegare la valanga di inchieste aperte negli ultimi mesi, che sta facendo scappare gli imprenditori dalla città e sta bloccando l’ufficio urbanistico del Comune. E conferma l’urgenza dell’intervento del Parlamento per mettere fine a questa aggressione giudiziaria.