Al vertice di Budapest i leader sposano la ricetta dell’ex banchiere per essere competitivi con la nuova America. La premier chiede lo scorporo dal Patto di stabilità
Piano con le soddisfazioni. Nel giorno in cui a Budapest tutti i leader europei sposano e raccolgono anche nella dichiarazione finale la relazione di Mario Draghi – e quella di Enrico Letta – sulla scossa che serve “ora” al Vecchio continente, l’ex banchiere e predecessore di Giorgia Meloni si vede stoppare proprio dall’Italia su un punto centrale. Ineludibile con la vittoria di Donald Trump in America. E’ quello del 2 per cento del Pil per la difesa comune, la Nato. Per l’ex premier può essere raggiunto dagli stati membri, a partire da noi, “rispettando il Patto di stabilità”. Beh, Giorgia Meloni, che citerà Draghi en passant, non la pensa così: “Ci sono aperture nel Patto per queste spese e si può fare molto di più. E’ una scelta strategica che non può però ricadere sui cittadini”. (Canettieri segue nell’inserto XVI)
In effetti qualcosa potrebbe muoversi almeno a leggere le dichiarazioni rilasciate l’altro giorno dal commissario alla Difesa Andrius Kubilius durante l’audizione. “Sono a favore della proposta italiana di non considerare le spese per la difesa nel Patto di stabilità, è molto razionale”, ha risposto a una domanda dell’eurodeputata di FdI Elena Donazzan. Ipotesi che vede contrari i paesi nordici (Germania, Olanda e Svezia) intimoriti dal fatto che questa mossa possa allentare le maglie anche su altro.
Di sicuro ieri dopo la proposta di Draghi e il no di Meloni, da Roma si è alzata una discreta contraerea nei confronti dell’ex premier. Per FdI ecco Edmondo Cirielli, viceministro degli Esteri. Pronto a ricordare che “serve flessibilità” e soprattutto “che Draghi non aveva il Patto di stabilità, dunque ora è facile parlare”. La bocciatura arriverà anche da Forza Italia con Matteo Perego, sottosegretario alla Difesa. D’altronde, la linea dello scorporo delle spese militari è portata avanti da giorni, settimane e mesi anche dal ministro Guido Crosetto. Legittima diversità di vedute, quella fra la premier e il suo predecessore, che potrebbe celare, chissà, anche qualcosa di più profondo: il sospetto, categoria dello spirito che alberga fra le pareti di Palazzo Chigi. Come si sa Draghi lo scorso 11 settembre ha fatto visita a Marina Berlusconi a Milano, poi la settimana dopo è andata dalla premier e infine martedì scorso ha ricevuto nella sua casa dei Parioli Elly Schlein, la segretaria del Pd. E’ una risorsa, ma senza adesioni fideistiche. Beghe, dietrologie e sospetti, appunto, da “ballatoio Italia” davanti a sfide globali che attendono l’Europa con il ritorno di Trump alla Casa Bianca.
Meloni e Draghi l’altra sera durante la cena con i leader sono stati visti dialogare. Lei avrebbe spinto sull’esigenza di un debito comune per affrontare questa nuova fase. Ipotesi che vede ancora una volta i paesi frugali con il freno a mano. L’ex banchiere di sicuro senza giri di parole è andato dritto sull’esigenza di reagire subito. Così ha parlato: “Non c’è alcun dubbio che la presidenza Trump farà grande differenza nelle relazioni tra gli Stati Uniti e l’Europa. Non necessariamente tutto in senso negativo, ma certamente noi dovremmo prenderne atto”. Le due direttrici draghiane su cui intervenire sono “i settori dell’innovazione, dell’alta tecnologia”, nei quali gli Usa sono avanti anni luce, e le industrie tradizionali che Trump punterà a proteggere con i dazi e che l’Europa esporta di più. La voglia di reagire al cambio di scenario americano a Budapest c’è stata, questa convinzione ha attraversato tutti i leader presenti all’appuntamento, ma sugli strumenti e sul “come” si è deciso di prendere ancora tempo. Draghi ha tracciato comunque una linea, suonando quella che sembra comunque l’ultima chiamata per l’Europa. “Non si possono posporre decisioni”. Perché c’è “un’urgenza” da affrontare. Di questo anche Meloni è consapevole, sperando di potersi giocare un ruolo da cerniera, per via anche del rapporto personale con Elon Musk, considerato un “valore aggiunto”. La considerazione dell’Europa nei confronti della leader di destra si vedrà la settimana prossima con l’audizione di Raffaele Fitto sul quale pende il “no” dei socialisti alla vicepresidenza esecutiva.