E’ appena uscito in libreria il suo ultimo romanzo, “La geografia del danno” (La Nave di Teseo), una storia vera. Questo racconto è un inedito per il Figlio
Qualche giorno fa a Milano sono passato nella via in cui avevano abitato i miei genitori, al nono piano di un edificio anni Settanta poco distante dal Naviglio Grande.
E mi è tornato in mente il giorno in cui mio padre aveva invitato a pranzo me e mia sorella per comunicarci che sua madre, nostra nonna, era morta. Eravamo rimasti sconcertati, perché a quello che ne sapevamo lui aveva perso la mamma da bambino, e per quella ragione era stato affidato a una zia, con cui era cresciuto prima a Livorno e poi a Tunisi. Di fronte alla nostra incredulità, mio padre ci aveva detto di aver scoperto solo a diciott’anni che sua madre era viva, quando un avvocato gli aveva scritto per sapere se avrebbe voluto incontrarla. In preda al più acuto senso di tradimento, si era rifiutato categoricamente di farlo, e non aveva mai più voluto saperne di lei. Poi, per decenni, con la complicità di nostra madre, ci aveva raccontato che era morta quando lui aveva due anni.
Quella rivelazione sconvolgente è scivolata nel retro dei miei pensieri, ed è riaffiorata in forma di mille domande solo dopo che entrambi i miei genitori erano morti, troppo tardi per pretendere da loro delle risposte. Della mia nonna paterna sapevo solo che si chiamava Doralice, era nata in Cile, faceva l’attrice nella compagnia di famiglia, e nel secondo decennio del Novecento in un teatro genovese aveva folgorato mio nonno Carlo, giovane ingegnere navale nato a Tunisi da una famiglia siciliana. Carlo aveva perso la testa per quella donna così esotica; l’aveva corteggiata, era riuscito a fidanzarsi con lei e poi a sposarla, e aveva avuto con lei mio padre Giancarlo.
Perché Doralice era poi improvvisamente sparita dalla vita di suo figlio quando lui aveva due anni?
Perché aveva aspettato che lui fosse maggiorenne per cercare un contatto? Chi era davvero quella giovane attrice sudamericana approdata a Genova proprio all’alba della Prima guerra mondiale? Perché mio nonno Carlo era stato per noi una presenza così sporadica ed elusiva, anche nelle occasioni in cui di solito le famiglie si ritrovano? Perché le rare volte in cui lo vedevamo aveva un’aria così avvilita? Perché i miei genitori si erano sentiti in diritto di nascondere a me e a mia sorella l’esistenza della nostra unica nonna vivente?
Queste domande ne hanno trascinate con sé molte altre, mentre cercavo di ricostruire cosa fosse successo davvero. Era difficile, a cent’anni di distanza dai fatti, sulla base di poche fotografie d’epoca, qualche documento d’archivio, i racconti di un anziano prozio che viveva in un trullo ad Alberobello e quelli di una prozia francese ancora più anziana, di cui non conoscevo nemmeno l’esistenza prima che mi scrivesse una lettera da Grasse. La ricerca di risposte alle mie molte domande si è trasformata poco alla volta in un’investigazione appassionante, ricca di sorprese e rivelazioni, e ha portato alla luce le vite straordinarie di parenti fino allora sconosciuti: i loro azzardi, le loro traversate di oceani e continenti che avevano fatto parte di migrazioni collettive come quella dei siciliani in Tunisia e quella dei piemontesi in Cile, negli ultimi decenni dell’Ottocento.
Le scoperte che ho fatto sulla storia della mia famiglia hanno dato un volto a quelli che erano stati per me solo fantasmi, aprendo la strada a riflessioni su come i doni e i danni di chi è venuto prima di noi si trasmettano nel sangue da una generazione all’altra, per diventare parte della nostra eredità personale quanto i tratti del nostro viso.