Da bambino prodigio a compositore di musiche da film: la parabola artistica del compositore austriaco-statunitense emerge da un epistolario appena pubblicato
Da “Wunderkind” a “Hollywood-Komponist”: da bambino prodigio a compositore di musiche da film. La parabola artistica di Erich Wolfgang Korngold, figura oggi pressoché sconosciuta benché tra gli autori più amati del suo tempo, emerge nitidamente grazie a una di quelle operazioni editoriali che giungono come manna: “L’uomo che fece suonare Hollywood” (Libreria Musicale Italiana) affronta per la prima volta in Italia la figura di Korngold. Nato nel 1897 in Repubblica Ceca, crebbe a Vienna: su consiglio di Mahler studiò con Zemlinsky; dagli anni 30, sfuggendo alla persecuzione nazista, si stabilì a Hollywood dove si dedicò alla composizione di colonne sonore e dove morì nel 1957 venendo sepolto all’Hollywood Forever Cemetery.
L’epistolario (non ci sono solo le lettere di Korngold, ma anche dei suoi parenti e amici) mostra nitida l’immagine di un talento precoce. Nel 1910 il padre Julius mandò alcuni pezzi del figlio a Richard Strauss il quale rispose: “La prima sensazione che si riceve, quando si legge che questo è stato scritto da un undicenne, è quella di spavento e timore, che un genio così prematuro possa perdere la possibilità di uno sviluppo normale”. E poi un consiglio: “Tolga però adesso questo giovane genio dallo scrittoio e dalla musica, lo mandi in montagna a sciare, a correre in slitta così che questo giovane cervello non si stanchi o si consumi in anticipo”. Del resto, anche Mahler, come raccontò la moglie Alma, quando incontrò Korngold a nove anni sentenziò: “Un genio, un genio!”.
Certo, il ruolo del padre non fu secondario né nella vita privata né in quella professionale: era l’influentissimo critico musicale della “Neue Freie Presse”, acerrimo avversario della dodecafonia della Scuola Viennese. Fu proprio il padre, infatti, a far naufragare le amicizie del figlio con Berg e Schoenberg. E pure con Strauss dopo aver firmato un’aspra critica de “La donna senz’ombra”. Più fortunato, invece, fu il rapporto con Puccini: “E’ molto lusinghiero per me che Lei s’interessi per la mia musica”, gli scrisse il lucchese nel 1922 esortandolo: “Scriva, scriva come le detta il cuore e vincerà ogni ostacolo, chiarezza e semplicità!”. Invito che ribadì nel 1924, pochi mesi prima di morire, dopo che Korngold gli inviò la partitura del suo “Die tote Stadt”: “Avanti, mio caro Erich, Voi siete giovane e la via è appianata per arrivare ad astra!”.
Quegli “astra” saranno rappresentati dagli States. Nell’ottobre 1934, a Korngold si spalancarono le porte di Hollywood grazie al regista Max Reinhardt che gli chiese di adattare cinematograficamente il “Sogno di una notte di mezza estate” di Mendelssohn. Da quel momento, la sua carriera si impennò e Korngold giunse a vincere due Oscar con le colonne sonore di “Avorio nero” (1937) e “La leggenda di Robin Hood” (1939). La sua fu una musica che ha accompagnato una parte di storia americana: musica che, come scrisse Ronald Reagan al figlio del compositore, è “un’eredità di bellezza”.