Meloni mette l’obbligo del Pos, la Uil protesta contro una norma anti-evasori

Il governo punta sui pagamenti elettronici per colpire l’evasione dei taxi, il sindacato si scaglia contro il pignoramento dello stipendio dei dipendenti pubblici indebitati con il fisco. Doppio testacoda di propagande

L’evasione fiscale è uno di quei temi su cui tanti predicano bene e razzolano male. E viceversa. Il doppio testacoda lo offre la legge di Bilancio, che contiene norme anti-evasione di cui il governo non può vantarsi pubblicamente e contro cui il sindacato protesta ma non apertamente. Ognuno in contraddizione rispetto ai propri storici proclami.

Giorgia Meloni impone l’obbligatorietà dell’odiato Pos e la Uil protesta per la stretta contro gli evasori. Parliamo degli articoli 9 e 10 della manovra, sull’interoperabilità delle banche dati e sulla tracciabilità delle spese, da cui il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti stima di recuperare quasi 500 milioni di euro nel 2026.

Sembra ormai passata un’era geologica, ma nel 2022 il governo Meloni partì sferrando una guerra contro il Pos: nella prima legge di Bilancio, l’esecutivo voleva rimuovere l’obbligo per gli esercenti di accettare pagamenti elettronici sotto i 60 euro, per far contenta la sua constituency e in particolare i tassisti. Quella proposta produsse uno scontro tra Palazzo Chigi e la Banca d’Italia, che aveva criticato la proposta: Giovanbattista Fazzolari, sottosegretario e braccio molto destro della premier, accusò Bankitalia di essere “partecipata da banche private” e, pertanto, contraria al contante e favorevole alla “moneta privata del circuito bancario”.

Stessa considerazioni da parte di Francesco Filini, mente del Centro studi di FdI e seguace di Giacinto Auriti, un tipo con teorie singolari che si stampava la sua moneta in casa, che affermava: “La moneta elettronica non è moneta a corso legale, è una moneta privata offerta come servizio a pagamento dal circuito bancario e finanziario e rappresenta un giro d’affari molto importante per le banche”. Alla fine il governo tornò sui suoi passi dopo il niet di Bruxelles e lasciò la libertà ai consumatori di poter pagare con il Pos.

Ora il governo Meloni fa un passo avanti. Oltre a prevedere l’obbligo del collegamento tra strumenti di pagamento elettronico e registratore telematico per trasmettere tutti i dati all’Agenzia delle entrate, prevede una stretta sulla tracciabilità delle spese: per la deducibilità dalle imposte sui redditi delle spese per vitto, alloggio e trasporto sono ammessi solo i pagamenti tracciabili. Gli obiettivi sono esplicitamente alberghi e ristoranti, ma soprattutto Ncc e taxi (la cui l’evasione stimata è del 50%) e che non hanno obbligo di fatturazione elettronica.

L’obbligo per dipendenti, imprese e professionisti a pagare con Pos o strumenti elettronici per dedurre le spese ha l’obiettivo di contrastare l’evasione fiscale da omessa fatturazione, ma soprattutto da sottodichiarazione e omesso versamento, oltre alle false compensazioni. Da questa norma, il governo punta a ricavare 430 milioni nel 2026. Ma non se ne vanta in pubblico. Come potrebbe, d’altronde, dopo anni di strali contro il Pos e la “moneta delle banche” e di propaganda a favore dei tassisti e della libertà di contante?

L’altro testacoda riguarda un altro comma, il quarto, dello stesso articolo 10. Prevede, per di dipendenti pubblici con uno stipendio superiore a 2.500 euro al mese, l’obbligo da parte dell’amministrazione competente, prima di effettuare il pagamento, di verificare se il beneficiario abbia delle pendenze con il fisco da 5 mila euro in su. In tal caso, al dipendente pubblico verrà pignorato da un decimo a un settimo dello stipendio. I dipendenti pubblici evasori, o comunque con debiti con il fisco superiori a 5 mila euro, sono stimati in 30 mila, da cui il governo prevede di recuperare un gettito di 3 milioni di euro al mese nel 2026 (36 milioni annui) e 4,5 milioni a regime (90 milioni all’anno).

La norma già esiste, ma vale solo per i dipendenti pubblici con stipendio superiore a 5 mila euro al mese. La legge di Bilancio dimezza la soglia. E proprio questo non piace ai sindacati, nello specifico alla Uil. Nella memoria per l’audizione sulla legge di Bilancio, il sindacato guidato da Pierpaolo Bombardieri dice che la norma antievasione del governo è “profondamente ingiusta”. La Uil ritiene che “queste misure non tutelino i lavoratori ma peggiorino il loro potere d’acquisto” e pertanto chiede al governo “di ritirare questa disposizione e di promuovere invece politiche più eque e solidali”.

Insomma, Giorgetti lasci in pace i dipendenti pubblici che non pagano le tasse. La cosa paradossale è che la Uil di Bombardieri, che chiede la cancellazione di norme antievasione, ha proclamato insieme alla Cgil di Maurizio Landini lo sciopero generale contro la manovra perché “non fa nulla contro l’evasione fiscale”.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali

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