Mentre alcuni partiti festeggiano, il mondo dell’impresa fa già di conto sulle ripercussioni delle elezioni negli Usa. Viaggio tra gli imprenditori, che chiedono al governo di avere coraggio e non inseguire le ricette del tycoon. “Rischiano di metterci in ginocchio”
C’è chi come il presidente di Assolombarda Alessandro Spada ricorda quanto il suo territorio sia legato agli Stati Uniti: 14,2 miliardi di euro di valore dell’export, “una cifra raddoppiata negli ultimi dieci anni e che vale l’8,7 per cento del totale dell’export regionale”. Per questo, con lo spettro dazi che avanza insieme a Trump, “il rischio è di minare ulteriormente la competitività delle nostre imprese, che già devono fronteggiare alti costi dell’energia e le ricadute della crisi tedesca, soprattutto nel settore automotive”. Ma c’è anche chi come il presidente di Federacciai Antonio Gozzi parla apertamente di “folklore, quando ci si mostra entusiasti per la vittoria di Trump. Perché come fa a essere entusiasta per i dazi un paese che sta diventando il quarto esportatore al mondo?”. E’ della stessa opinione anche Enrico Carraro, presidente di Confindustria Veneto, che al Foglio non si nasconde: “Non so se i politici che gridano Viva Trump si rendano davvero conto del guaio in cui rischia di portarci. E’ evidente che serve uno sforzo di responsabilità da parte di tutti”. Lo invoca anche Lorenzo Delladio, presidente dei confindustriali trentini: “Ho visto dei festeggiamenti ingiustificati. La politica deve stare attenta, perché rischiamo di rimetterci tutti”.
E insomma mentre (quasi) tutti gli esponenti politici e istituzionali italiani, da Meloni a Salvini a Conte, si congratulavano con Donald Trump, le imprese iniziavano già a far di conto sulle potenziali evoluzioni alla Casa Bianca. “Il problema non sono solo i dazi ma gli ingenti sostegni finanziari che la nuova Amministrazione è pronta a immettere nel mercato americano”, spiega ancora Antonio Gozzi, patron del colosso siderurgico Duferco e nell’ufficio di presidenza di Confindustria con deleghe ad Autonomia strategica, Piano Mattei e competitività. “Per quel che riguarda misure protezionistiche come i dazi, invece, è del tutto evidente che una misura come il 100 per cento sull’importazione di un prodotto come le auto elettriche cinesi non farà altro che aggravare i nostri problemi, visto che l’eccesso di produttività si riverserà qui in Europa”. Eppure il trionfo di Trump è stato visto come un ulteriore successo della destra mondiale, quasi possa essere, il protezionismo americano, un modello cui guardare anche per i conservatori alle nostre latitudini. “Ma io invece di essere entusiasti per la vittoria di Trump consiglierei ai nostri rappresentanti politici di essere più determinati nel confronto intraeuropeo per cercare di correggere le storture di questi anni, a partire dalle politiche sull’auto, ma anche sulla decarbonizzazione, che ci hanno fatto perdere terreno rispetto agli Stati Uniti”, dice ancora Gozzi. “Mi aspetterei che questo choc servisse anche all’Italia per avanzare delle proposte che possano cambiare radicalmente l’Europa. Perché sia uno stimolo ad affrontare le nostre lentezze”.
Secondo Alessandro Spada, presidente di Assolombarda, lo scenario che si para davanti all’Italia e ai paesi europei è tutt’altro che sereno. “I dazi dovrebbero essere imposti come ultima risposta per combattere fenomeni di concorrenza sleale. Non è questo il caso. Diversamente, sono una minaccia al libero mercato”. Tutte considerazioni che acquistano ancor più valore se si tiene conto della strutturazione del mercato delle imprese lombarde. “Se guardiamo ai territori raccolti in Assolombarda, gli Usa sono in assoluto il primo partner commerciale, con 7,8 miliardi di export nel 2023”, spiega ancora Spada. E allora, invece di rincorrere il protezionismo trumpiano, cosa dovrebbe fare il governo italiano? Cosa chiedete? “Gli Stati Uniti sono e devono restare un partner chiave per le nostre imprese. L’asse transatlantico, di cui noi come italiani e come europei siamo parte, va rafforzato. Perché questo accada dobbiamo mettere al centro dell’agenda europea temi strategici come la politica industriale e la difesa comune per renderci uno spazio autonomo e competitivo. Oggi abbiamo più che mai bisogno di un’Europa forte, coraggiosa e lungimirante che si comporti come una potenza politica, economica, industriale”, risponde allora il presidente di Assolombarda.
Enrico Carraro, presidente degli industriali veneti, al Foglio dice che “siamo abituati, anche qui in Italia, a politici che in campagna elettorale dicono delle cose e poi ne fanno delle altre. Al fondo Trump è un uomo d’affari, sono convinto che possa rimanere pragmatico. Eppure è certo che su alcuni settori specifici, penso alla produzione di macchinari in cui noi siamo molto forti, la preoccupazione c’è. Il modello delle barriere economiche e dei dazi non porta da nessuna parte, questo ce lo dobbiamo mettere bene in testa”, ragiona Carraro rivolgendosi direttamente al governo. “Quello che dovremmo sottoscrivere tutti noi imprenditori è un appello alla politica industriale dell’Europa. I bilanci dei singoli stati europei non possono fare nulla rispetto a quelli di Cina e Stati Uniti. Solo l’Europa, unita, può vincere questa sfida. Dobbiamo saper imparare e reagire a questi eventi traumatici come la vittoria di Trump. E non pensare che anche da noi si possano imporre dazi per inseguirlo”.
Un altro che a caldo esprime preoccupazioni è il presidente di Confindustria Genova Umberto Risso, ai vertici della società di energia Autogas nord. “Per noi imprenditori, qui in Italia, dei problemi ci saranno eccome”, racconta. “Penso che l’automotive sarà il settore in cui i contraccolpi saranno più forti. Ma anche su acciaio ed energia, da quanto è stato promesso in campagna elettorale, una bella mazzata ce la beccheremo. La nostra fortuna è essere estremamente diversificati, per cui potremmo riuscire a negoziare in alcuni settori specifici come l’agroalimentare o la moda”. Fatto sta che, come riconosce ancora Rizzo, “in un momento di difficoltà ci sarebbe stato bisogno di compattezza. E invece mi pare che dai festeggiamenti di alcuni esponenti politici si noti una divisione tra interessi nazionali e interessi di famiglie politiche. Le forze filotrumpiane e filoputiniste da noi sono più forti che altrove e questo naturalmente non fa granché bene al sistema paese, che ha bisogno di lavorare insieme agli altri paesi europei per uscire da questa situazione”.
Roberto Grassi guida da anni Confindustria Varese. “Gli Usa rappresentano il terzo mercato di sbocco dei prodotti dell’industria varesina, il primo extra-Ue. Parliamo di oltre 1,1 miliardi nel 2023, quasi il 10 per cento di tutto il nostro export” racconta. “L’anno scorso abbiamo messo a segno un più 5 per cento, a cui ha però fatto seguito un brusco meno 11,1 per cento nel primo semestre di quest’anno. Ciò non toglie che gli Stati Uniti rappresentino un importante e promettente mercato per diversi settori che caratterizzano la nostra industria. A partire dalla meccanica (macchine utensili in primis), la moda, la chimica e l’alimentare. Più in generale per un’economia come quella varesina che esporta oltre il 40 per cento del valore aggiunto che produce qualsiasi scenario protezionistico non è una buona notizia”, dice al Foglio. Anche lui rivolge un appello alla responsabilità del governo: “Serve più Europa. Un’Europa unita negli intenti e nelle strategie di politica economica e internazionale. Un’Europa compatta nel sentirsi legata a un destino comune. Non c’è nessun livello di governo nazionale in grado di poter far fronte a dinamiche globali o a politiche protezionistiche da parte di giganti come Usa o Cina. Non dobbiamo farci condizionare dalla tattica del divide et impera. Credo che l’Italia debba farsi promotrice a Bruxelles di una politica Ue che richiami al rispetto dei trattati internazionali i partner mondiali, cercando sia strade di dialogo con gli Usa, sia di evitare strategie separate tra partner europei”.
Il presidente di Confindustria Trentino Lorenzo Delladio racconta al Foglio di aver seguito le elezioni americane in compagnia di altri imprenditori del suo territorio. “Siamo rimasti scioccati. Restiamo fiduciosi, ma adesso c’è il rischio che Trump colga le divisioni a livello europeo e parli con i singoli stati”, spiega. La sua azienda La Sportiva, che produce scarpe per arrampicata, ha un fatturato legato agli Stati Uniti attorno al 20 per cento. Per questo l’imposizione di dazi è uno scenario da incubo. “Gli Usa sono il secondo mercato di sbocco per il Trentino, soprattutto per il settore alimentare e la meccanica”, analizza Delladio. “Anche per questo certe reazioni di gioia alla vittoria di Trump danno fastidio. Un po’ di serietà di più da parte della politica la vorrei vedere”.