Da Biden a Trump: così il voto cattolico ha riportato The Donald alla Casa Bianca

La Chiesa americana non è più da tempo quella progressista di qualche decennio fa e ora i cambiamenti si vedono anche nella società. Un contributo l’ha dato anche il cattolico convertito JD Vance, ma le radici della svolta sono meno recenti

Quest’anno, alla Al Smith Dinner, consueto evento di beneficenza organizzato dall’arcidiocesi di New York, Kamala Harris non si è palesata. “Non era mai accaduto negli ultimi quarant’anni da quando Walter Mondale non si presentò, e perse quarantanove stati”, commentò tra l’ironico e il dispiaciuto il cardinale Timothy Dolan. Il riferimento era alle elezioni del 1984 contro Ronald Reagan che il candidato democratico perse malamente. La battuta dell’arcivescovo newyorchese immediatamente divenne virale sui social, chi ergendola a profezia e chi a indebita interferenza nella battaglia politica. A ogni modo, l’assenza di Harris certificava la lontananza dal mondo cattolico americano, che seppur frastagliato e contraddittorio, conta ancora qualcosa. Ed è capace di incidere, grazie a risorse finanziarie e a mezzi di comunicazione a disposizione, anche sulle elezioni. Appena chiusi i seggi e capito che Trump sarebbe tornato alla Casa Bianca, i sondaggi delle principali testate e reti tv hanno mostrato exit poll che segnalavano la vittoria del candidato repubblicano fra i cattolici. Secondo il Washington Post, il 56 per cento del voto cattolico è andato a Trump contro il 41 per cento a Harris. Fra i cattolici bianchi, la percentuale sale al 60 per cento, mentre fra neri e ispanici ha prevalso la candidata democratica (rispettivamente con l’81 e con il 58 per cento). E’ un cambiamento netto, nel complesso: quattro anni fa, fu Biden a prevalere con il 52 per cento. Certo, contava il suo essere un cattolico bianco del Delaware, ma il dato era significativo considerando che sulle tematiche che più lacerano il campo cattolico americano – quelle care alla stagione delle culture war – la distanza con la maggioranza dell’episcopato era netta. Pesava ancora, soprattutto, il fatto che Biden fosse stato vicepresidente di Barack Obama, non certo percepito come vicino alle istanze cattoliche.

La campagna di Trump ha colto questi segnali e soprattutto la difficoltà di Harris a intercettare questa fascia di elettorato. Anche per la scelta del cattolico convertito J.D. Vance come candidato vicepresidente. Da qui la partecipazione a eventi con i cattolici, l’intervista al network conservatore Ewtn – che non gode di grande simpatia in Vaticano durante il pontificato di Francesco –, i messaggi sui social in occasione delle ricorrenze e festività religiose: per citarne uno, l’8 settembre su X, Natività di Maria, Trump scrisse “Happy Birthday, Mary!” con immagine della Madonna allegata. Negli ultimi giorni della campagna elettorale, quando i sondaggi raccontavano di un micidiale testa a testa e gli esperti dicevano che per prevedere chi avrebbe vinto si sarebbe potuta lanciare in aria una monetina, i vertici della Conferenza episcopale sono rimasti in silenzio, salvo qualche preghiera diffusa a mezzo social, un paio di estratti dalle letture del giorno, compreso quello significativo sulla tutela della vita. Un comportamento che non è passato inosservato e che ha portato più di un intellettuale cattolico liberal ad accusare le gerarchie di sostenere di fatto Trump. Il presidente dei vescovi, mons. Timothy Broglio, il giorno dopo il voto si è congratulato con l’eletto: “La Chiesa cattolica non è allineata con alcun partito politico e non lo è nemmeno la Conferenza episcopale. Come cristiani e come americani, abbiamo il dovere di trattarci l’un l’altro con carità, rispetto e civiltà, anche se potremmo non essere d’accordo su come affrontare le questioni di politica pubblica”.

Fino a qualche decennio fa, la Chiesa americana era fra le più liberal sul pianeta, quella della tenda progressista che aveva nel cardinale arcivescovo di Chicago, Joseph Bernardin, la sua guida. Poi il quadro ha iniziato a mutare. “Il cattolicesimo americano sta cambiando, ci sono meno cattolici negli Stati Uniti che assomigliano a Biden e Pelosi, è una rottura generazionale”, ha detto alla Croix international Massimo Faggioli, storico della Villanova University, aggiungendo che “la diversificazione culturale ed etnica dei cattolici americani non significa che votino naturalmente per il partito che si presenta come il ‘partito della diversità’”. Il gruppo Catholic Voice, conservatore, scrive che “i cattolici sono sempre più attratti dall’agenda della nuova destra, resa popolare da Trump, che combina politiche sociali che mettono la famiglia al primo posto con le priorità economiche dell’America”. Steven P. Millies, docente di Teologia pubblica e direttore del Bernardin Center presso l’Unione cattolica teologica di Chicago, ha scritto che “non siamo riusciti a salvare la Repubblica. Indipendentemente da ciò che le analisi ci dicono, gli elettori hanno preferito un criminale condannato ancora in attesa di processo per altri crimini, che ci ha regalato il 6 gennaio, nessuna visione politica e nessun risultato”.

  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.

Leave a comment

Your email address will not be published.