Real Madrid-Milan 1-3, una sera di ostinazione e metamorfosi

Nella vittoria dei rossoneri al Bernabeu in Champions League c’è soprattutto l’ostinazione di un uomo, di un allenatore, che ha continuato a non adattarsi a nulla, a seguire la sua strada a forza di bacchettate e musi duri, salvo poi, nella sera più importante, scendere a compromessi con se stesso

Al primo dei tre fischi finali dell’arbitro Slavko Vincic, Paulo Alexandre Rodrigues Fonseca, per brevità Paulo Fonseca e basta, aveva il volto affaticato e l’espressione furbastra e altera di chi sa di averla fatta grossa. Pochi minuti dopo, mentre osservava i suoi giocatori festeggiare sul prato del Santiago Bernabeu, gli occhi di Paulo Fonseca si sono riempiti di una caparbia fierezza, quella di chi ha capito che nella vittoria del Milan per 1-3 in casa del Real Madrid in Champions League c’è soprattutto l’ostinazione di un uomo, di un allenatore, che non si è adattato al contesto e alla squadra, ma ha adattato contesto e squadra alle sue idee e al suo lavoro, salvo poi, nel momento decisivo avere il coraggio e la scaltrezza di sparigliare tutto, trasformando il suo credo calcistico adatandolo alla situazione e all’avversario.

A Milano Paulo Fonseca era arrivato in estate tra lo scetticismo di chi ne ricordava gli ultimi tristi mesi alla Roma nella primavera del 2021. Il suo Milan aveva fatto fatica, aveva giocato mediamente male, perso qualche volte di troppo.

L’avevano dato per esonerato, poi aveva vinto il derby. La sua permanenza sulla panchina del Milan sembrava essersi trasformata in una lenta agonia rossonera, esasperata dal volto infelice di Rafael Leão messo in disparte, seduto in panchina perché evanescente sul terreno di gioco. C’era chi non capiva le scelte dell’allenatore, chi le considerava sciocche, addirittura dannose. Si è mai curato troppo di tutto questo, quando ha sbottato lo ha fatto solo per la noia subentrata per le troppe domande uguali.

Poi è arrivata la sera del Bernabeu e tutto il lavoro fatto, le bacchettate ai suoi giocatori migliori, le panchine e i metodi duri, quasi grezzi usati, si sono trasformati in una reazione uguale e contraria. Orgoglio e determinazione. Il Milan di Paulo Fonseca è sceso in campo dimostrando di sapersi trasformare, di non essere una un’entità immutabile. Ha cercato di attaccare pensando prima alla difesa, in un mescolio di controllo e contropiede, di pressing e gestione del pallone, nel quale il Real Madrid si è trovato smarrito, a tratti frastornato nel vedere davanti a sé una squadra aveva immaginato diversa. Si è ibridato, correndo e rincorrendo a tutto campo (alla maniera di Yunus Musah, capace di essere uno e trino come solo pochissime volte era riuscito a fare al Milan) e poi dando spazio alla velocità e alla classe incostante di un Leão che sarà ondivago e a tratti svogliato, ma capace come nessuno di dare la carica ai compagni.

Paulo Fonseca spera che la partita contro il Real Madrid non sia soltanto un’apparizione autunnale, fragile e incerta come una foglia gialle su di un ramo. Spera che quanto fatto sin qui, tutta l’antipatia che si è attirato addosso possa trasformarsi se non in un innamoramento quanto meno in una pace giusta e serena.

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