Pietà

La recensione del libro di Antonio Galetta edito da Einaudi, 272 pp., 18 euro

Pietà quasi come scongiuro prima ancora che come preghiera. “Pietà l’è morta” cantavano poi le parole di Nuto Revelli durante la Resistenza in opposizione a un potere devastante e sanguinario. Ora in questo tempo sospeso prende invece forma un potere diverso, non più segnato da un dogma inappellabile e ancor meno dall’altezza di un altare che impone distanza e reverenza. Si tratta di un potere diffuso, ma impalpabile. Un potere provinciale ridotto a strada secondaria. Un potere della porta accanto. E di questo potere racconta “Pietà” (Einaudi) dell’esordiente Antonio Galetta. Un racconto allegorico a tratti enfaticamente giocoso eppure con vividi richiami in una realtà che ci appartiene ma che al tempo stesso sfugge alla storia che invece prosegue e avanza nonostante un occidente italiano ridotto a bolla rassicurante. Una rassicurazione che però contiene ansia e angoscia, disturbi gravi di una personalità in fuga perenne. Galetta nell’interpretare un potere tanto casalingo quanto contemporaneo, verace quanto cafone, rivela l’egoismo di un mondo che si ritiene centrale in quanto periferico: il saperla lunga dei provinciali che nulla hanno visto e quindi tutto hanno capito. Il potere non appartiene più a un altrove indefinito, ma ribolle e prende forma proprio come ultimo possibile elemento di una sostanza esistenziale che privata anche di questa costruzione e soprattutto della sua retorica rischierebbe il collasso di fronte all’imporsi di un secolo che rivela una ferocia e una violenza a cui si dovrebbe opporre una presenza di spirito culturale ed emotiva, oggi merce così rara. Oggi così tremendamente sottovalutata a fronte di una memoria ridotta a souvenir e a una politica appiattita tra Ztl e scambi di basso cabotaggio. La politica diventa nazionale quanto provinciale, perdendo così la misura di uno spazio che dovrebbe appartenere a una cittadinanza e non a un’accolita di anime perse. Antonio Galetta con Pietà dimostra maturità e velocità di sguardo e anche affinità verso un popolo meschino quanto però inevitabilmente smarrito. Tuttavia Galetta offre anche una dose di necessaria durezza e ironia rispetto comunque a dei vizi che ormai appaiono impossibili da estirpare quali elementi integranti di un corpo irreversibilmente mutato. Pietà descrive la paura e l’inconsistenza di un occidente provinciale che si affaccia nel nuovo secolo con la paura verso un mondo che sembrava a portata di mano e che invece la storia con il suo incedere mostra in tutta la sua vertigine.

Antonio Galetta

Pietà


Einaudi, 272 pp., 18 euro

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