Lo sciopero di Landini e Bombardieri contro i dati di Istat, Inps, Upb e Bankitalia

Dalla riforma fiscale al mercato del lavoro, Cgil e Uil giustificano la quarta mobilitazione generale in quattro anni contro il governo usando argomenti contraddittori e numeri falsi

Che lo sciopero generale indetto da Cgil e Uil sia tutto politico – ora che siamo alla quarta mobilitazione in quattro anni, tre su tre con il governo Meloni – è chiaro. Ma Maurizio Landini e Pierpaolo Bombardieri potevano comunque puntare su questioni reali nella loro battaglia contro Giorgia Meloni e Giancarlo Giorgetti. Invece, hanno deciso di fare una guerra totale, a colpi di negazionismo e falsificazioni, in cui una vittima collaterale è la verità.

Di dati falsi e manipolazioni sono piene le audizioni di Cgil e Uil sulla legge di Bilancio. L’elenco, per questioni di spazio, non può essere esaustivo. Ci concentriamo, quindi, su fisco e lavoro. L’argomento principale di polemica è la riforma fiscale. La Cgil sostiene questa singolare teoria: siccome nel 2024 si prevedono 17 miliardi in più di gettito Irpef, vuol dire che i lavoratori con il “drenaggio fiscale” hanno finanziato il taglio del cuneo fiscale di circa altrettanti 17 miliardi “in una sorta di ‘grande partita di giro’ a saldo zero”.

L’affermazione è in gran parte falsa, ma il ragionamento porta comunque a conseguenze singolari per la Cgil. In primo luogo, non è vero che tutto l’aumento del gettito Irpef sia dovuto al fiscal drag. Perché, oltre all’inflazione, c’è stato un notevole incremento degli occupati: più persone lavorano e, di conseguenza, pagano le imposte sul reddito. Tra il 2022 e il 2024 gli occupati sono oltre un milione in più. Ma è anche singolare la teoria secondo cui il maggiore gettito Irpef debba servire a ridurre le aliquote dell’Irpef. Perché nel 2024 è aumentato notevolmente anche il gettito dell’Ires e delle imposte sui redditi da capitale a causa dell’aumento dei tassi di interesse: vuol dire, secondo la logica di Landini, che quelle entrate devono essere usate per abbassare le imposte sugli utili delle imprese e sulle rendite finanziarie?

È certamente vero che il fiscal drag ha colpito i redditi da lavoro. Ma, come mostrano le analisi dell’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb), questo è avvenuto soprattutto sui redditi medio-alti (oltre i 35 mila euro): al di sotto di questa soglia, l’effetto positivo della decontribuzione e del taglio dell’Irpef è stato superiore a quello negativo del drenaggio fiscale. La logica conseguenza della posizione della Cgil è, quindi, che si dovrebbero tagliare le tasse al ceto medio-alto, finora tartassato dal governo Meloni. Insomma, si tratta di convergere sulla proposta di Forza Italia: alzare la soglia del terzo scaglione e tagliare la corrispondente aliquota, rendendo l’Ipref un po’ meno progressiva. Ma su questo è di parere opposto la Uil , che sciopera insieme alla Cgil: “Ancora più preoccupante è il fatto che – scrive il sindacato guidato da Bombardieri – si parli di un possibile ampliamento del terzo scaglione Irpef a 60 mila euro, della riduzione dell’aliquota dal 35% al 33% senza intervenire sulla progressività”. Insomma, qualsiasi cosa decidano di fare, Meloni e Giorgetti sbagliano.

Sulla progressività, poi, si arriva alla negazione della realtà. La Cgil afferma che la riforma fiscale del governo, che rende strutturale il taglio dell’Irpef e gli effetti della decontribuzione, comporta una “riduzione della progressività”. Un’affermazione palesemente falsa. Ieri, in audizione, l’Upb ha affermato di nuovo che “la riforma nel complesso ha determinato un significativo incremento della progressività”. Sempre ieri, in audizione, la Banca d’Italia ha ribadito che la riforma comporta “una riduzione della disuguaglianza” dei redditi: l’indice di Gini scende di 0,3 punti percentuali.

Sul lavoro, Cgil e Uil negano i dati dell’Istat. Sostengono che l’80% dei nuovi assunti sia con contratti a termine e che la riduzione dei dipendenti a termine sia legata all’aumento del lavoro autonomo, che è altrettanto precario. Sono due affermazioni contraddittorie tra loro ed entrambe false (una combo da record!), basta vedere i dati Istat e Inps: il lavoro a termine diminuisce in valore assoluto e il lavoro autonomo è in un declino storico (è sotto il livello pre-Covid), mentre ciò che è aumentato notevolmente è il lavoro a tempo indeterminato. Sul totale, è in calo l’incidenza sia degli autonomi sia dei dipendenti a termine.

La Cgil dice anche che l’aumento del tasso di occupazione è dovuto alla “drastica diminuzione della popolazione in età da lavoro”. Un’altra mistificazione: gli occupati sono aumentati in valore assoluto (circa +1 milione in due anni) e, come indica l’Istat, l’occupazione è aumentata per tutte le fasce d’età al netto della componente demografica. Dobbiamo fermarci per questioni di spazio. Ma ciò che è chiaro è che lo sciopero di Landini e Bombardieri è formalmente contro il governo Meloni, ma sostanzialmente contro i dati di Istat, Inps, Upb e Banca d’Italia.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali

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