Il trasferimento genico orizzontale e la porosità dei confini della speciazione mettono in dubbio le rigidità tradizionali dell’isolamento riproduttivo, mostrando come la diversità genetica sia il risultato di un’intricata rete di genomi interconnessi. Una sfida per chi teme la “contaminazione” da parte delle biotecnologie moderne
La definizione di specie è stata a lungo uno dei problemi più complessi e dibattuti in biologia evolutiva. Tradizionalmente, il concetto di specie è stato legato all’isolamento riproduttivo: due popolazioni appartengono a specie diverse se non possono produrre prole fertile. Ma questa definizione ha limiti evidenti, soprattutto quando si parla di organismi che si riproducono in modo asessuale, di casi di ibridazione tra specie diverse e del fenomeno del trasferimento genico orizzontale (Hgt). In questi contesti, la visione di specie come unità isolate si sgretola: la diversità genetica può fluire non solo tra individui della stessa specie, ma anche tra specie diverse e perfino tra regni, come piante e batteri.
Il trasferimento genico orizzontale tra piante e batteri è un esempio che mette in discussione l’idea di specie come unità isolate. Nell’Arabidopsis thaliana, una pianta modello, sono stati osservati 75 casi di trasferimento genico bidirezionale tra piante e batteri. Geni della pianta, coinvolti nella resistenza agli stress ambientali, sono stati acquisiti dai batteri, migliorandone la sopravvivenza. Allo stesso modo, il gene batterico Acc deaminasi si è integrato nel genoma dell’Arabidopsis, influenzandone il fenotipo. Questo scambio di informazioni genetiche rende difficile distinguere la pianta e il suo microbioma come entità separate: i confini tra le specie diventano sfocati e la capacità di adattamento complessiva del consorzio aumenta.
Questi scambi di geni tra regni, come quelli tra piante e batteri, sfidano la definizione classica di specie basata sull’isolamento riproduttivo. L’acquisizione di geni tra organismi così diversi suggerisce che i confini tra le specie non sono rigidi, ma permeabili, facendo sorgere nuove domande sull’identità delle specie. Le specie appaiono più come nodi di una rete genetica interconnessa, piuttosto che entità isolate. La scoperta che i batteri possono acquisire geni da eucarioti (non solo piante), e viceversa, indica che i confini tra le specie non sono rigidi, ma permeabili. Questo solleva domande importanti su come considerare l’identità di una specie quando parte del suo genoma può essere il risultato di interazioni con organismi completamente diversi, suggerendo che le specie non sono entità isolate, ma nodi in una rete genetica complessa.
Il concetto di “specie porosa” descrive proprio questa situazione. Recenti studi (Barraclough, 2024) suggeriscono che la selezione naturale possa favorire confini aperti tra le specie per facilitare l’adattamento rapido. In ambienti in continuo cambiamento, la porosità dei confini permette alle popolazioni di accedere a varianti genetiche che sono state già selezionate come vantaggiose in altre specie, migliorando così la capacità di rispondere a pressioni selettive simili. Questo vantaggio è particolarmente evidente quando le specie si trovano ad affrontare sfide ambientali comuni, dove il trasferimento genico può aumentare la diversità genetica necessaria per una risposta efficace. Il flusso genico può portare alleli benefici, già testati da altre specie, migliorando la sopravvivenza e l’adattamento delle popolazioni.
L’isolamento genetico può essere vantaggioso in ambienti stabili, dove la pressione selettiva è costante e non richiede nuove varianti genetiche. Tuttavia, in condizioni mutevoli, la capacità di scambiare materiale genetico può rappresentare una strategia vincente. Un esempio è il trasferimento di geni di resistenza tra specie di piante come il girasole (Helianthus annuus) e il cardo campestre (Cirsium arvense), che convivono nello stesso ambiente. In questo caso, l’introgressione di alleli benefici ha permesso loro di sviluppare resistenza contro patogeni comuni come funghi del genere Fusarium, che avrebbero potuto decimare le popolazioni. La stabilità dell’intero ecosistema è vantaggiosa per entrambe le specie, che quindi hanno tratto vantaggio dallo scambio di resistenze.
Studi recenti hanno infatti dimostrato che questo tipo di interazioni aumentano la resilienza delle comunità vegetali, non solo delle singole specie, e consentono loro di prosperare anche in condizioni di elevata pressione patogenica. In un altro caso, specie di pesci che condividono lo stesso habitat hanno beneficiato dell’introgressione di geni legati alla tolleranza a variazioni di temperatura. Precisamente, specie come la carpa comune (Cyprinus carpio) e la carpa erbivora (Ctenopharyngodon idella) sono state osservate scambiarsi alleli che migliorano la tolleranza a temperature estreme, consentendo loro di sopravvivere in ecosistemi che subiscono fluttuazioni termiche significative a causa dei cambiamenti climatici. Questo scambio genetico ha permesso alle popolazioni di mantenere livelli di fitness elevati nonostante l’aumento delle temperature globali e la variabilità stagionale. La condivisione di questi alleli ha inoltre ridotto la mortalità durante ondate di calore improvvise, aumentando la resilienza complessiva delle comunità ittiche all’interno di questi habitat dinamici. La porosità dei confini permette quindi alle specie di condividere alleli che possono offrire vantaggi immediati, come resistenza a malattie o adattamento a nuove risorse, migliorando la fitness complessiva e la resilienza dell’intero ecosistema.
Il trasferimento genico orizzontale e la porosità dei confini delle specie sfidano i concetti tradizionali di speciazione, mostrando come la diversità genetica sia il risultato di un’intricata rete di genomi interconnessi. Questo rende difficile tracciare confini netti e rigidi tra le specie, poiché ogni organismo è parte di un sistema dinamico di interazioni genetiche. Gli esempi di scambio genetico come quelli citati dimostrano che la diversità genetica è più condivisa e fluida di quanto si pensasse, facendo apparire le specie come nodi in una rete evolutiva piuttosto che come entità isolate. In questa ottica, il mantenimento di confini porosi è vantaggioso per l’evoluzione, poiché permette alle specie di adattarsi rapidamente a nuove condizioni ambientali grazie all’introgressione di alleli benefici sviluppati nell’ecosistema sotto pressione da qualcuno dei suoi componenti. Questa prospettiva ci invita a considerare l’evoluzione come un processo cooperativo e interconnesso, in cui le specie evolvono attraverso scambi continui e mutue interazioni genetiche.
Ironia della sorte, la natura stessa sembra sfidare le paure di coloro che temono la “contaminazione genetica” causata dalle biotecnologie moderne. La fluidità genetica che vediamo tra le specie dimostra che lo scambio di geni è un processo naturale e pervasivo, che ha plasmato la biodiversità molto prima dell’intervento umano, e che è di vantaggio ad intere comunità, non solo singole specie. Proprio come il vantaggio che le comunità costituite dall’uomo e dalle specie coltivate trarrebbero da modifiche mirate per diminuire l’uso di concimi, acqua, energia e fitofarmaci.