Arresti, danni alle fonti, comunicazioni in grado di mettere a rischio il paese e danneggiare il rapporto con gli alleati e i cittadini
Durante una guerra, una fuga di notizie può cambiare i ritmi, le paure, i piani. Nell’ultimo mese, ci sono state almeno tre fughe di notizie molto sensibili: una riguarda l’Ucraina, due Israele. Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ultimamente appare furioso, sempre più preoccupato per il terzo inverno di guerra, con Mosca che seppur lenta devasta e avanza; per l’arrivo dei soldati nordcoreani che sembrano scuotere ben poco gli alleati di Kyiv; per le elezioni americane che possono cambiare molto per gli ucraini in guerra. La scorsa settimana Zelensky si è lamentato anche per un articolo del New York Times, in cui un alto funzionario americano raccontava che nel Piano della vittoria diffuso dal presidente ucraino c’era anche la richiesta dei missili a lungo raggio Tomahawk. Alcuni punti del piano di Zelensky sono top secret, lo era anche la richiesta dei missili Tomahawk che il funzionario ha definito “irrealizzabile”. La sfiducia del presidente ucraino non era tanto per il commento, quanto per la pubblicazione di una parte del piano che lui aveva deciso di condividere soltanto con pochi alleati e invece è finito sulle colonne del quotidiano americano. Dopo aver ammesso la sua richiesta, Zelensky ha commentato: “Quindi tra alleati non c’è nulla di confidenziale?”. Qualche settimana prima, alcune informazioni altamente classificate sui piani di rappresaglia di Israele contro l’Iran sono state pubblicate su un canale telegram. Lo stato ebraico doveva ancora rispondere all’attacco di Teheran, i suoi piani poi si sono rivelati molto diversi da quelli descritti dai documenti divulgati, ma una fuga di notizie di tale portata sarebbe dovuta arrivare da ambienti come l’Fbi o il Pentagono.
In questi giorni in Israele si sta consumando una delle peggiori crisi di fiducia interne dovuta alla fuga di alcune notizie per la quale sono stati arrestati un portavoce dell’ufficio del primo ministro e altri funzionari dell’unità di intelligence dell’esercito. Tra gli arrestati, la figura più in vista è Eli Feldstein, ex collaboratore dell’attuale ministro della Sicurezza nazionale, Itamar Ben-Gvir, finito poi a orbitare nell’apparato del primo ministro nonostante non avesse superato i controlli di sicurezza dello Shin Bet. Questo caso di fuga di notizie è molto particolare e riguarda le comunicazioni con la stampa e la divulgazione di alcune informazioni che sarebbero dovute rimanere segrete e che sarebbero state diffuse in maniera distorta. L’unicità della situazione l’ha sintetizzata bene Yair Lapid, il leader del partito di opposizione Yesh Atid: “Contrariamente all’impressione che stanno cercando di creare nell’ufficio del primo ministro, non si tratta di un sospetto di fuga di notizie, ma di segreti di stato sfruttati a fini politici”. Feldstein e altri sono accusati di aver fatto arrivare alla stampa delle notizie modificate, lo Shin Bet e Tsahal si sono messi a indagare con il sospetto che il meccanismo della fuga di notizie potesse svelare alcuni metodi operativi di Israele. Finora l’inchiesta riguarda due articoli, pubblicati uno su Jewish Chronicle l’altro sulla Bild, le notizie diffuse sono state smentite, il giornalista del Jewish Chronicle è stato licenziato, ma la crisi di fiducia che l’episodio provoca in Israele è ancora più profonda e non riguarda soltanto la sicurezza ma anche il rapporto tra istituzioni, media e cittadini. Ha scritto Amos Harel sul quotidiano Haaretz: “L’indagine dello Shin Bet si concentra sui danni che potrebbero essere stati causati a fonti sensibili. I media dovrebbero essere preoccupati dalla probabile possibilità che queste informazioni siano trapelate e che siano entrate in una campagna di sensibilizzazione a danno dei cittadini di Israele”.