L’ultimo giorno in Pennsylvania, poi Harris torna alla sua Howard University per la notte dei conti

La candidata democratica ha deciso di organizzare l’evento della notte elettorale alla Howard University, dove gli studenti dicono: “La storia passa di qui”. I preparativi nella capitale e il motore del voto femminile

Washington, dalla nostra inviata. La capitale è un cantiere di sicurezza e preparativi, i camion trasportano transenne e barriere per proteggere la Casa Bianca, il Campidoglio, la residenza della vicepresidente Kamala Harris: non c’è un allarme specifico, dicono le autorità, c’è un paese diviso, ci sono toni violenti, c’è il precedente del 2020 con mezza America che pensa di essere già stata imbrogliata – bisogna essere pronti. I preparativi alla Howard University, dove Harris ha deciso di organizzare l’evento della notte elettorale, sono ben più spensierati, alcuni studenti girano video sui cellulari, “la storia passa di qui”, dicono, mentre la strada che porta all’ingresso principale dell’ateneo è già addobbata di palloncini con i colori della bandiera americana. Non si sa che storia passerà di qui tra il 5 e il 6 novembre, ma si sa che la Howard, università storicamente nera, è un luogo fondamentale della formazione della prima donna nera e asiatica che ambisce a diventare presidente degli Stati Uniti.


In una lettera che ha scritto al giornale dell’università, l’Hilltop, a metà ottobre, Harris dice che “Howard mi ha resa la persona che sono oggi”, e già nella sua biografia, “Le nostre verità”, raccontava che dopo sua madre, è stata la Howard ad avere l’impatto più forte sulla sua formazione. Arrivata nel 1982 con già le idee chiare sul suo futuro – studiare legge – nel 1986, Harris si è iscritta alla Alpha Kappa Alpha (Aka), la sorority di donne nere che è stata fondata nella Miner Hill della Howard (il palazzo storico e meraviglioso non c’è più) nel 1908, un primato nazionale: oggi la sorority conta 360 mila donne, alla convention di Chicago alcune si erano fatte vedere, cosa non comune, con i loro colori, il rosa e il verde, l’edera e le perle, simboli della forza che ci vuole per sopravvivere alle ostilità, con eleganza e determinazione.

Per la prima volta nella sua storia, l’Aka quest’estate ha formato un Pac di sostegno a Harris per raccogliere le tante, piccole donazioni per la candidata presidente: secondo gli ultimi dati, ha raccolto circa 900 mila dollari. Ma l’influenza della sorority nera più antica, nata in tempi in cui il vicepresidente americano diceva che “un negro non imparerà mai a tradurre un verbo greco o ad applicare il teorema di Euclide”, va molto al di là dei fondi: è empowerment nero e femminile, è dialogo con i giovani, è mobilitazione, è potere. Secondo le voci raccolte da Jazmine Hughes, che ha raccontato le “Alpha girls” sul New Yorker, questo potere non è così forte come si può pensare, è più la segretezza che sempre contorna queste associazioni che contribuisce ad alimentarlo (Donald Trump ha cercato di strumentalizzare questa segretezza quando ha detto che Harris non aveva incontrato il premier israeliano Netanyahu in visita a Washington per andare “dalle sue donne nere”, alludendo alla riunione come se fosse quella di una setta). Nel 2020, quando Harris era nel ticket presidenziale, il 90 per cento del voto delle donne nere andò ai democratici. Quest’anno le analisi demografiche delle intenzioni di voto hanno mostrato una divisione del voto per genere (le donne votano la donna, gli uomini votano l’uomo) e una debolezza, che ora sembra un pochino assorbita, nella comunità nera, soprattutto per quel che riguarda gli uomini (lo stesso è avvenuto tra gli ispanici). La grande affluenza femminile nell’early vote sembra a oggi il motore più consistente della campagna elettorale di Harris.



Il Cramton Auditorium, che sta alla fine della strada cui s’accede allo Yard allestito con palchi, posti a sedere e altoparlanti, è tutto transennato. Alla fine dell’estate Harris era venuta qui a prepararsi per l’unico dibattito televisivo con Trump. Sempre qui aveva annunciato la sua candidatura alle primarie presidenziali del 2020: un fallimento che le è rimasto appiccicato addosso assieme al suo mandato vicepresidenziale deludente. Ma alla vigilia della resa dei conti di un 2024 aspro e cupo, con il gran finale elettorale di Trump e Harris nella Pennsylvania che nessuno può permettersi di perdere, i brutti pensieri sono banditi, le magliette con il volto di Harris sono in vendita, gli autobus hanno già deviato il loro percorso.

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d’amore – corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d’amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l’Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell’Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi

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